Il Mare Baltico è un malato cronico. Ogni tanto dà qualche segno di ripresa, seguito da nuove crisi e prognosi allarmanti. Gli obiettivi ecologici fissati nel 2007 dal Baltic Sea Action Plan per il 2021 non verranno raggiunti: l’ammissione è contenuta nella seconda valutazione sullo stato del mare (Second Helcom holistic assessment 2011-2016) e confermata dall’ultimo report dell’Agenzia europea per l’ambiente. La cura a cui è sottoposto potrebbe dare risultati, ma solo nel lunghissimo periodo, probabilmente verso la fine del secolo, e se ci sarà volontà politica.

IL 97% DEL BACINO DELL’EUROPA DEL NORD E’ AFFETTO da eutrofizzazione (proliferazione di alghe dovuta ad eccesso di azoto e fosforo da agricoltura e scarichi civili), in ampie aree soffre di mancanza di ossigeno nelle acque profonde, è inquinato da metalli pesanti (mercurio, cadmio e piombo) e da sostanze pericolose e persistenti (come i PBDE, eteri polibrominati, usati come ritardanti di fiamma, vietati dal 2004) già entrate nella catena alimentare visto che se ne trovano tracce nei mammiferi, uomo compreso.

Gli stock di pesce, in particolare il merluzzo, sono in grave sofferenza (diminuisce non solo il numero degli individui ma anche il peso medio) a causa della pesca illegale, le concentrazioni di mercurio nelle cozze superano i limiti consentiti, mentre il mare è invaso da almeno 140 specie aliene che alterano gli equilibri della catena alimentare. A questo si aggiunga il traffico incessante di petroliere (il 12 % del traffico marittimo globale transita qui), con le loro emissioni.

Come se non bastasse, nel Baltico è ancora presente il Cesio-137 radioattivo, làscito dell’incidente nucleare di Chernobyl del 1986 che, per questioni climatiche di quei giorni drammatici, ebbe pesanti ripercussioni sulla Finlandia meridionale e sulle coste della Svezia centrale: i livelli di contaminazione sono oltre le soglie di sicurezza in tutte le acque del Baltico, mentre negli organismi le soglie vengono rispettate sulle coste della Danimarca e lungo le sponde della Germania (Baie di Kiel e Meclemburgo e Bacino di Arkrona).

ANALISI APPROFONDITE SULLE ARINGHE DICONO che i livelli di contaminazione sono inferiori a 5 unità Becquerels per chilo (nei filetto) dopo i picchi che superavano le 140 unità negli anni ’90: il livello di sicurezza è comunque lo zero. In generale, ci si aspetta che la presenza di Cesio-137 torni alla normalità entro il 2020, scrive Helcom (il naturale tempo di decadimento del Cesio 137 è di 30 anni). «Se non succedono altri incidenti, perché il rischio nucleare non è scomparso visto che esistono ancora centrali nucleari in Finlandia, Svezia, Russia e Bielorussia – ci dice da Helsinki Juha Aromaa di Greenpeace – e comunque ci sono ancora limitazioni, per esempio alle quantità di funghi che si possono consumare in alcune zone della Finlandia a causa dei livelli di radioattività».

Solo i livelli di DDT e gli HCH (altro componente di insetticidi), al bando in Svezia dal 1970 e poi altrove, hanno smesso di destare preoccupazione. Un segnale di speranza viene dall’aquila dalla coda bianca che ha rischiato l’estinzione negli anni Settanta per effetto del DDT che causava l’assottigliamento del guscio delle uova. Di recente ha ripreso a nidificare e a riprodursi sulle sponde baltiche dove gli insetticidi più tossici si stanno degradando e le zone marine protette hanno recuperato spazio agli habitat più delicati.

STIAMO PARLANDO DI UN MARE IN CUI SI AFFACCIANO alcuni dei paesi con la più elevata sensibilità ambientale (i bacini idrografici di Danimarca, Germania, Finlandia, Svezia, oltre a Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Russia, in tutto fanno 85 milioni di persone) che è stato tra i primi ad essere monitorato da studi di ecologia e oggetto di uno dei primi trattati internazionali sull’ambiente, la Convenzione di Helsinki per la protezione dell’ambiente marino del Mar Baltico, firmata nel 1974, modificata nel 1992 e in vigore dal 2000, con a capo una commissione intergovernativa di cui fa parte anche l’UE.

«L’eutrofizzazione è il peggior problema per il Baltico – aggiunge Aromaa – in parte per ragioni fisico-geografiche: essendo poco profondo (la profondità media è solo 52 metri), a bassa salinità e con scarsi apporti di acqua dall’oceano, è particolarmente vulnerabile. Su queste acque gli inquinanti hanno un fortissimo impatto. L’azoto e il fosforo provengono prevalentemente dall’agricoltura industriale, in particolare dalla Polonia, ma la responsabilità non è solo degli agricoltori polacchi. Non c’è stato accordo tra gli stati per modificare le politiche agricole che si basano sull’agricoltura industriale». Eppure il Baltic Sea Action Plan enumera le buone pratiche agricole che potrebbero contribuire a ridurre sostanzialmente il dilavamento dell’eccesso di fertilizzanti nei corsi d’acqua.

LA’ DOVE L’IMPEGNO E’ STATO RISPETTATO, I RISULTATI si sono visti. Quando la città di San Pietroburgo si è dotata di un depuratore, i livelli di fosforo nel suo golfo sono calati del 25%. Lo stesso effetto si è verificato quando un impianto per la produzione di fertilizzanti che scaricava nel fiume Luga (Russia) si è attrezzato con appositi filtri. «Tuttavia – continua Aromaa – i livelli di nitrati e di fosforo rilasciati nell’acqua e stratificati nei sedimenti sono così elevati da compromettere la qualità dell’acqua per altri decenni».

Al capezzale del Baltico è accorsa anche la Corte dei Conti europea, l’organo che verifica il corretto utilizzo dei fondi UE. Nella relazione dal titolo cristallino Combattere l’eutrofizzazione nel Mar Baltico: occorrono ulteriori e più efficaci interventi i magistrati contabili non risparmiano bacchettate alla Commissione Europea che, scrivono «non segue abbastanza da vicino l’attuazione di questi piani… ed è stata lenta nell’agire per individuare le violazioni e perseguire i casi di inadempimento negli Stati membri».
La direttiva sui nitrati, secondo la Corte dei Conti europea «non impone esplicitamente alle aziende di redigere piani di concimazione, né di tenere registri sui fertilizzanti usati. Entrambi gli strumenti contribuirebbero ad attuare e controllare svariati requisiti della direttiva sui nitrati». Evidentemente la Commissione ha chiuso più di un occhio rispetto alla non conformità anche delle misure più ovvie. Di conseguenza «il principio chi-inquina-paga non viene sufficientemente applicato all’attività agricola», secondo la Corte.

Le responsabilità non sono tutte dell’agricoltura: negli stati presi in esame dalla Corte «nessuno aveva introdotto limiti obbligatori per il tenore di fosforo nei detergenti per bucato entro il termine ultimo, e nessuno ha ancora applicato limiti per i detergenti per lavastoviglie».

PIU’ SEMPLICE E’ STATA LA LOTTA AI PERICOLI di inquinamento dalle navi: gli sversamenti di idrocarburi sono ormai prossimi allo zero grazie a severe misure di controllo, adeguamenti strutturali delle imbarcazioni, rilevamenti satellitari e di conseguenza al minor rischio di incidenti. Al Mar Baltico è stato assegnato da IMO (Organizzazione marittima internazionale) uno status speciale per le navi passeggeri che dal 1 giugno 2019 non possono più scaricare direttamente in mare le acque reflue se non sono preventivamente trattate. L’obbligo vale per le navi di nuova costruzione, mentre per le altre entrerà in vigore dal 2021: questo significa che navi da crociera e traghetti per navigare nel Baltico dovranno dotarsi di impianti di depurazione a bordo o, in alternativa, di cisterne sufficientemente capaci per trattenere tutti i reflui.

PIU’ DURA LA LOTTA AI METALLI PESANTI, IDROCARBURI aromatici, PBDE e altri composti inquinanti persistenti da industria e dalla combustione di fonti fossili. Secondo il rapporto di Helcom «i livelli totali di contaminazione non sono cambiati rispetto al precedente rilevamento», cioè al decennio scorso. Se da una parte resta l’allarme, la situazione non è nemmeno peggiorata.
In questo scenario, tuttavia, secondo Helcom le prospettive per la biodiversità sono buone poiché ci si aspetta che lo stato del mare, seppure gradualmente, migliori. «L’ecosistema ha reagito in modo più lento rispetto alle nostre aspettative – spiega Dominik Littfass, del segretariato di Helcom – ma i trend attuali ci dicono che le misure messe in campo hanno un effetto positivo. I ministri dell’Ambiente hanno deciso di proseguire le azioni oltre il 2021, anche per affrontare nuove emergenze», che si chiamano cambiamenti climatici, plastiche, farmaci, perdita di fondali marini…