La Fondation Louis Vuitton, al Bois de Boulogne, dedica una mostra personale alla designer, architetta, urbanista e fotografa Charlotte Perriand. È la prima volta che l’intero edificio di Frank Gehry è occupato da una sola autrice. Il mondo nuovo di Charlotte Perriand, a vent’anni dalla morte (fino al 24 febbraio 2020), è un omaggio che permette di far conoscere un’opera proteiforme e d’avanguardia, spesso passata in secondo piano: la Chaise longue a dondolo B306, realizzata nel 1928-29, è facilmente attribuita a Le Corbusier, mentre è stata il frutto di una collaborazione tra l’architetto, Pierre Jeanneret e Charlotte Perriand, così come la Poltrona grande conforto del 1928.

LA SUA BIBLIOTECA Nuvola è oggi elemento di ispirazione per molti designer, come la Sedia girevole B302 del 1927, Ombra, impilabile (del 1954) o lo Sgabello del 1955, modelli copiati ancora oggi. Tutte le gallerie della Fondazione parigina, dislocate su quattro livelli, illustrano l’«arte di abitare» di Charlotte Perriand.
La mostra è stata realizzata con grandi mezzi: ci sono le ricostruzioni storiche dell’appartamento della place Saint-Sulpice (1927), il salon d’Automne del 1929, la Maison du Jeune Homme (1935) presentata con René Herbst e Louis Sognot all’Esposizione universale di Bruxelles nel 1935, la bellissima Casa sull’acqua (1934), il rifugio Tonneau realizzato nel 1938 in montagna, le stanze degli studenti delle Maison du Mexique e Maison de Tunisie alla Cité universitaire a Parigi, la presenza alla Triennale di Milano del 1950, La Maison de thé disegnata per l’Unesco nel 1993, uno dei suoi ultimi lavori.

LA SPECIFICITÀ DEL LAVORO di Perriand consiste in un’idea di collaborazione, oltre che con gli architetti Le Corbusier e Prouvé, anche con artisti suoi contemporanei, da Léger, Picasso, Calder, Sonia Delaunay, Mirò, fino ai giapponesi Hisao Dômoto e Sôfu Teshigahara, proponendo una «sintesi delle arti»: era questo anche il titolo della mostra a Tokyo nel 1955, dove la designer riuniva i suoi compagni di strada, fino a Hans Hartung e Pierre Soulages, indicando uno spazio che mescolasse pitture, sculture, tappezzerie, mobili e architettura.

UN’ALTRA CARATTERISTICA della sua produzione è stata l’apertura al mondo: Perriand viaggiò molto, andò in Indocina, visse in Giappone negli anni ’40, poi in Brasile. Da ogni cultura riuscì a trarre elementi che integrò nel suo lavoro, a cominciare dalla leggerezza, dal passaggio all’uso di materiali naturali come il bambù, dall’utilizzazione del vuoto nell’inter-penetrazione tra spazio abitabile e percezione dello spazio esterno, all’importanza della luce. A testimoniare questa fluidità, ci sono le grandi vetrate, la «rampa luminosa per galleria» della fine degli anni ’20 che negli anni ’50 porterà allo spazio scolpito della galleria Steph Simon a Parigi, fino alla concezione degli spazi in funzione del sole, nel piano urbanistico della stazione sciistica Les Arc in Savoia. Una realizzazione meno felice, legata all’esplosione del momento di un’architettura di montagna, che resta segnata cronologicamente.
«Cosa vogliamo essere? Come vogliamo vivere? – si chiedeva Perriand – non sono le nuove tecnologie a essere in gioco, ma l’uso che gli uomini ne fanno». Aveva iniziato con un grande entusiasmo per l’automobile (negli anni ’20), ma dal funzionalismo legato all’industrializzazione arrivò, negli anni ’30, all’introduzione della natura nell’architettura di interni, anche in mobili fatti di elementi prefabbricato o modulari. Gli arredi destinati a una produzione industriale offrivano un supplemento d’anima, «conservando sempre una grande umanità, resistendo alla monotonia potenziale del prefabbricato» (Frank Gehry). Lo spazio da lei proposto è senza gerarchie, modulabile, costituito da «forme utili» che facilitano la vita. «Forme utili e belle – diceva l’architetta – che rivelano l’accordo tra le esigenze della materia e le aspirazioni della mente».

IL PERCORSO di Charlotte Perriand ha attraversato tutto il XX secolo (1903-1999), con un’attenzione anche per le lotte politiche e sociali. Nel 1950, il magazine Elle la nominò ministra della Ricostruzione nel governo immaginario tutto al femminile che presentò nelle sue pagine – «con mille scuse ai ministri in esercizio» -, un omaggio all’impegno nei grandi lavori del dopoguerra. In un fotomontaggio del 1936 aveva denunciato la miseria delle abitazioni popolari insalubri a Parigi.
Fu lei a concepire gli interni dell’unité d’habitation di Le Corbusier a Marsiglia, con la cucina aperta. Nel 1938 disegnò la scrivania di Jean-Richard Bloch, direttore del giornale comunista Ce Soir, una «forma libera» in movimento, che invitava al dialogo con la redazione. Accanto, c’era una tavola bassa con forme astratte di Léger e Picasso, provenienti da una serie che condannava Francisco Franco e che segnò il suo impegno a favore dei repubblicani spagnoli durante la guerra civile. «L’arte è in tutto – sosteneva – È nella vita e si esprime in ogni occasione e in tutti i paesi».