La raccolta poetica di Elisa Donzelli, Album (nottetempo, pp. 96, euro 10), porta già inscritta nel titolo una delle possibili traiettorie di senso che costellano questa riuscita prova d’esordio: in un gioco costante di rinvii tra passato e presente, si compone la biografia di un’esistenza, quella dell’autrice quarantenne, sullo sfondo di una serie di emblematici avvenimenti che hanno segnato gli ultimi decenni di storia fino al nostro presente, come il terrorismo, la Guerra del Golfo, l’ascesa di Forza Italia al governo, il terremoto in Abruzzo, la questione migratoria, la pandemia, per citarne alcuni.

LA PARTICOLARITÀ di un’esperienza di vita individuale e intima si intreccia così alla cronaca di un’epoca, via via che sul bianco a cui l’etimologia della parola album rimanda prendono forma le sagome ritratte in toni pastello di familiari, amici, conoscenti, ma anche personaggi pubblici che hanno incrociato i propri destini con quello della poeta, si appuntano una serie di fermo-immagini, «fotografie dove finiscono le fasi della vita (…) – ottanta novanta zero dieci sono numeri non anni», che fissano in inquadrature oblique, di taglio, eventi di portata collettiva o piccole epifanie, attimi che sfuggono alla tagliola del tempo in un eterno ritorno, abitato spesso dagli assenti, ma anche scorci di luoghi d’infanzia cari e città, quartieri, vie, palazzi, ville, università, piazze, località di villeggiatura che si alternano in un viaggio a ritroso con incursioni temporali continue nella contemporaneità, e ai frammenti visivi fa da eco una colonna sonora appena accennata, nei versi che ricordano il concerto della rock star Madonna a Torino, o i balli adolescenti sulle note di Automatic for the people dei R.E.M, refrain di chi ha svoltato il millennio lasciandosi alle spalle la prima giovinezza.

C’È PERÒ un’ulteriore direttrice di significato che attraversa in controluce tutta l’opera, connotandola come vivido e potente racconto di formazione declinato al femminile, quella che ruota intorno al tema della sorellanza, intesa in senso lato, la cui dedica «ad Anna e alle altre» richiama in apertura. Le «figure di genere femminile» evocate nel ricordo degli esercizi di disegno infantili, «la punta dei piedi/ mai appoggiati/ completamente a terra», prendono consistenza di poesia in poesia e compongono un albo generazionale in cui sono nominate e celebrate con lucida passione, che siano figure note della storia più o meno recente o volti privati, amati dall’autrice, a cominciare da quelli delle due sorelle, la maggiore, di cui dice «sei stata la mia prima star» e la minore, Anna, alla cui scomparsa sono destinati versi pregni di un dolore misurato e insanabile.

Alle coetanee e alle amiche perse o ritrovate ai margini dell’età adulta Donzelli scrive: «Potevamo essere anche noi/ un’altra cosa», e ancora: «adesso dovevamo incontrarci/ per quello che siamo state a vent’anni/ (…) Non serve sapere da che parte sia una madre/ nella geografia dei nostri strani/ posizionamenti/ se le conquiste si sono perse/ persi i diritti pari le perdite». Numerose altre sono le donne a cui l’autrice si rivolge con un «tu» interlocutorio che genera per riflesso legami e affinità, un senso di comune appartenenza a un’identità e a un destino condivisi, pur nella diversità degli esiti singoli, e di cui racconta con accorata partecipazione, come Marta Russo, a fianco della quale si immagina «in quel tratto di strada/ compagna di passo evanescente», o Hevrin Khalaf, «vicina nel nome, allo specchio/ riflesso della mia più asciutta lingua/ dove per variante potresti chiamarti Eva/ mentre in curdo alla radice vuoi dire amica».

LA PERDITA, tuttavia, che è uno dei fulcri tematici della raccolta, stempera le sue ombre nello slancio circolare della vita, e così l’autrice affida l’eredità di questo complesso e caleidoscopico album a un nuovo inizio, a una nuova generazione di sguardi, maturati nel fluire ciclico dei ruoli, da ragazza a donna, da figlia a madre, e incarnati in ultimo nel profilo infantile del figlio, colto nella sua più vera stagione, «come se la morte fosse un disegno/ sbiadito dal fiato dei vivi».