Moufida ogni due giorni è costretta a lasciare i tre figli di sei mesi, tre e cinque anni ai suoi vicini per andare a prendere gli 80 litri d’acqua potabile che centellina per l’uso domestico alla fonte che si trova a due chilometri da casa sua.

Non è una situazione inusuale nelle zone più rurali della Tunisia dove, stando ai dati forniti dall’Istituto nazionale di Statistica, il 32% delle abitazioni in ambito non urbano sono sprovviste di acqua potabile.

Nel governatorato di Jenduba, nella regione di Moufida che fornisce gran parte dell’acqua potabile al resto del paese, le case in zone rurali che non dispongono di questo servizio di base sono il 52,6%, ovvero il 36,4% dell’intera popolazione locale.

SE LA SONEDE, LA SOCIETÀ nazionale incaricata della gestione e della distribuzione dell’acqua, garantisce in ambito urbano quasi il 100% della copertura del sistema idrico, lo stesso non si può dire degli agglomerati non urbani, dove per portare l’acqua potabile nelle zone più isolate del paese è stato promosso il progetto Gruppi di Sviluppo Agricolo (Gda): entità associative per la gestione diretta e il funzionamento delle infrastrutture realizzate dal governo per assicurare l’approvvigionamento.

Secondo uno studio pubblicato da International Alert, il numero di queste associazioni è cresciuto esponenzialmente negli anni, arrivando a rifornire più di 2,5 milioni di abitanti, ovvero il 22% della Tunisia. Queste piccole associazioni, che funzionano solo grazie al volontariato dei soci, generano in media un giro d’affari inferiore ai duemila euro annui.

Difficile immaginare come assicurare le spese di manutenzione ordinaria con tali risorse, che secondo una stima della Direzione generale del Genio rurale e della Distribuzione dell’Acqua (Dggee), avveniva solo al 30% nel 2017.

«PROPRIO A CAUSA dei continui guasti e interruzioni, è più frequente che l’acqua si debba andarla a prendere direttamente alle fonti o al pozzo del Gda – ci racconta Mohamed, sceso dal suo pick up per rifornirsi a una delle 20 fonti presenti intorno al parco nazionale di El Feij – In caso di mancato funzionamento della rete, i Gda permettono di prendere l’acqua potabile sul posto applicando una tariffa di 7,5 dinari al metro cubo».

Chi non ha i mezzi di trasporto per farlo è costretto ad affidarsi direttamente a chi fornisce illegalmente la consegna a domicilio, pagando per la stessa quantità d’acqua dai 12 ai 25 dinari (dai quattro agli otto euro), ossia dalle 20 alle 40 volte di più del prezzo di mercato del servizio che dovrebbe essere garantito a tutta la popolazione.

«Oltre all’esponenziale prezzo pagato, la completa mancanza di controlli effettuati sull’acqua distribuita in questo modo è spesso causa di focolai di epatite A, che nella regione spesso coinvolgono bambini che frequentano scuole che non dispongono di acqua corrente», racconta Hayet Taboui, membro del Jendouba Information and Action Center, rete di associazioni della regione che tra i propri ambiti d’intervento ha quello di fare plaidoyer per un equo accesso all’aqua nella regione.

«LO STATO PROMETTE di arrivare con la rete idrica nei villaggi da più di 30 anni, mentre i due principali laghi artificiali della nostra regione continuano a rifornire d’acqua altri governatorati», continua Taboui, che non accetta il paradosso per cui «chi abita vicino ai bacini non possa beneficiare direttamente della loro acqua».

Non è un segreto infatti che i sei governatorati del nord est, tra cui la regione di Grand Tunis, pur rappresentando solo l’8,5% della superficie della Tunisia, ospitano il 45% della popolazione locale e sono i destinatari principali di tutte le risorse provenienti dai bacini del nord-ovest.

«In questo senso la società civile è poco organizzata», chiosa Hayet, che spiega come «le frequenti manifestazioni che avvengono ogni estate – in seguito ai problemi di manutenzione delle stazioni di pompaggio, che causano puntuali tagli alla rete idrica – come i recenti blocchi stradali per l’assenza di acqua nelle abitazioni nel periodo più caldo dell’anno, si concludono con la promessa di futuri lavori e migliorie che tardano ad arrivare. Nella nostra regione gli abitanti sarebbero disposti a pagare i costi di canalizzazione tra la propria casa e quella vicina. Quello che manca è la volontà da parte della Sonede di pagare i costi di struttura», denuncia Taboui.

LA LONTANANZA DELLO STATO e l’elevato costo di una vita priva di servizi primari, insieme all’alta percentuale di disoccupazione (18% nel secondo trimestre del 2020, +3% rispetto all’inizio dell’anno) sono tra le cause che portano i giovani ad abbandonare le campagne per cercare lavoro in città o dall’altra parte del Mediterraneo.

Una crisi che giova doppiamente al governo di Tunisi. Da un lato, vedendo ridurre il numero di abitanti di queste zone vede decrescere al contempo la forza della protesta e del malcontento manifestato da chi risiede in tali aree geografiche, potendo giustificare il mancato intervento come non realizzabile in funzione del basso numero di beneficiari interessati.

Dall’altro lato, la migrazione interna ed esterna generata dall’abbandono delle campagne diventa un fattore di contrattazione importante con i paesi vicini, come dimostrano i recenti fondi che l’Italia e l’Unione europea hanno promesso di stanziare per ostacolare le partenze di tunisini verso l’Europa.