Lontano dai riflettori, poco più a Ovest dell’epicentro lombardo, il Piemonte si trova in una situazione grave: il contagio non arretra, le condizioni negli ospedali, soprattutto per quel che riguarda il personale sanitario, è molto critica, le Rsa e i dormitori sono nuovi focolai. E il picco, mentre parte del Paese ragiona già sulla «Fase 2», è tuttora lontano, come riconosciuto anche dalla giunta guidata dal governatore Alberto Cirio.

C’è un dato, guardando le statistiche, che balza agli occhi ed è quello dei tamponi che, nonostante l’aumento degli ultimi giorni, resta basso rispetto ad altre regioni. Il Piemonte è terza nella tetra classifica dei deceduti ma sesta in quella dei tamponi (44.121 tamponi e 1.319 morti). È dietro alla Lombardia, all’esempio virtuoso del Veneto (153.542 tamponi e 695 decessi) e a Emilia-Romagna, Toscana e Lazio. A patirne le conseguenze sono gli operatori sanitari (medici, infermieri), categoria in prima linea nella lotta al Coronavirus e tra le più esposte, che aspettano per innumerevoli giorni l’esame del tampone o continuano a lavorare anche ammalati e senza protezioni adeguate. Finché non verrà interrotto questo effetto domino, attraverso screening a tappeto, sarà difficile fermare il contagio.

Il sindacato dei medici ospedalieri Anaao Assomed stima che il 5% dei medici ospedalieri piemontesi sia contagiato: «Abbiamo chiesto un report alle aziende e alla Regione, ma non ci è mai stato consegnato. Riteniamo siano tra i 200-300», spiega la segretaria regionale Chiara Rivetti. E sui tamponi ai sanitari, promessi dalla Regione, precisa: «Avevamo contribuito a redigere un protocollo in cui si diceva che il tampone sarebbe stato fatto entro tre giorni dall’inizio dei sintomi. Se negli ospedali la pratica sembra rodata, sul territorio non è così, laddove colleghi sono a casa, l’attesa degli incaricati del Sisp (Servizio igiene e sanità pubblica) può protrarsi molto. Ho appena mandato una diffida perché un medico radiologo lo sta aspettando da tredici giorni». Il contagio da Covid-19 è considerato un infortunio dall’Inail e non avere la prova dell’infezione significa non poterlo riconoscere.

I laboratori di analisi non riescono a reggere la mole delle richieste: «Due mesi fa – sottolinea Massimo Esposto, responsabile sanità Fp Cgil Piemonte – chiedemmo di potenziarli ma senza risposta. Un ulteriore problema è che non esiste un’indicazione univoca di Regione e Unità di Crisi e viene lasciata libera gestione del problema alle aziende sanitarie». Esposto ha chiara la situazione degli infermieri la descrive «critica», soprattutto sui dpi, perché scarseggiano i camici monouso e le mascherine ffp2: «In una rianimazione di un ospedale di Torino gli infermieri hanno usato sacchi dell’immondizia come calzari, a testimonianza di un personale che non si è mai tirato indietro».

Oltre a una sottovalutazione e mancata pianificazione «si pagano i tagli al fondo sanitario nazionale e al blocco del turnover di 5 anni patito dal Piemonte», dice Esposto. Medici e infermieri puntano il dito anche contro l’Unità di crisi regionale, che ha aumentato la disorganizzazione e ingolfato le procedure. «Chiediamo di lavorare sicuri, con adeguati dpi e che ci vengano fatti i tamponi» aggiunge Rivetti di Anaao. I kit con i reagenti preparati in casa dall’Università di Torino potrebbero migliorare l’efficienza dello screening.

Intanto, anche tra i medici precari c’è preoccupazione. Alcuni di loro sono pronti a iniziare il servizio nelle Usca, le unità speciali di continuità assistenziali, che su indicazione dei medici di famiglia andranno a visitare i pazienti affetti da Covid-19. In Piemonte, entreranno in azione con oltre un mese di ritardo rispetto ad altre regioni. «Viviamo sotto stress e con informazioni confuse e soprattutto con scarsi dispositivi di protezione. Nelle Asl, per gli anelli più bassi della gerarchia, si fa molta fatica a ottenere i corretti dispositivi, ti senti davvero un medico di serie b», racconta un giovane medico torinese, chiedendo l’anonimato. «Purtroppo – aggiunge – pare che, nonostante la gravità del contagio, le aziende sanitarie continuino a badare ai conti piuttosto che alla sicurezza dei propri dipendenti. E non è vero che tutto era imprevedibile».