Da quando Claude Rains, il corpo stretto in un trench, il volto coperto di bende seminascosto da enormi occhiali da sole e da un capello a tesa, in una notte di bufera, fece il suo ingresso alla Lion’s Head Inn nel primo adattamento dal romanzo di H.G Wells, diretto da James Whale, L’uomo invisibile ha subito molte reincarnazioni. Innanzitutto quelle nel Ciclo dei mostri della Universal, che produsse l’originale del ‘33 (The Invisibile Man Return, The Invisible Woman, Invisibile Agent, The Invisible Man’s Revenge e Abbott and Costello Meet the Invisibile Man); ma anche riletture sul tema come il sottovalutato Le avventure di un uomo invisibile di John Carpenter (1992), tratto da un romanzo di H.F Saint, o L’uomo senza ombra (2000), di Paul Verhoeven, forse l’interpretazione più ardita e sadica del mito. Annunciato dalla Universal nel 2016, con Johnny Depp, il nuovo L’uomo invisibile, arriva senza Depp ma sotto l’ala della Blumhouse, l’instancabile factory di Jason Blum che si è dimostrata capace di gestire al meglio franchise sacre come Halloween e, con film come Get Out, Us e i The Purge, di rilanciare l’horror in chiave provocatoriamente dialettica con lo spirito del tempo.

MOLTO PIÙ minimal, piccolo e «strategico» dei recenti reboot di La mummia o L’uomo lupo (minestroni digitali conditi di star un po’ bollite e usate male), questo L’uomo invisibile tradisce la lettura della geniale prima versione del classico di Wells ma, in un certo senso, conserva l’anima del genere come riflessa dalla produzione Universal degli anni di Karl Laemmle, piuttosto che da quella del terzo millennio. E Laemmle (che diede lavoro a grandissimi europei come Ulmer, Siodmak, Whale, May..) avrebbe gradito i risultati: costato 7 milioni di dollari, dopo tre settimane L’uomo invisibile ne ha incassati più di 33 solo in Usa (in Italia l’uscita rimandata per il Coronavirus).

LA PREMESSA, non originalissima, arriva da Hitchcock, da Angoscia e da thriller più patinati e recenti come A letto con il nemico, Via dall’incubo o la serie HBO Big Little Lies (Nicole Kidman sposa di un sadico Aleksander Skarsgard), ma l’era del #MeToo colora di toni diversi quella vecchia trama di abuso domestico e manipolazione psicologica su sfondi upper class. In una mega-casa/scatola di vetro affacciata sul mare Cecilia (Elizabeth Moss) si sveglia nel cuore della notte. Al suo fianco, un uomo (Oliver Jackson-Cohen) dorme tranquillo, mentre lei si veste e afferra una borsa. Si tratta – capiamo presto, nella suspense asciutta dell’australiano Leigh Whannel, sceneggiatore del primo Saw e regista del terzo Insidious – di una fuga programmata da tempo, che viene sabotata dall’apparizione del cane di famiglia. Allarme dell’auto che scatta, muro scavalcato a malapena, corsa frenetica nei boschi, strada deserta, fari nella notte, il pugno di un uomo che sfonda il finestrino, sangue, macchina che parte sgommando…

CECILIA SFUGGE per miracolo alle grinfie del fidanzato abusivo, che è anche un genio dell’ottica. Quando, pochi giorni dopo, i giornali ne annunciano il suicidio, Cecilia scopre che Adrian le ha lasciato cinque milioni di dollari. Ma la nuova vita che sta cercando di farsi viene turbata dall’impressione che Adrian non sia morto, anzi che le sia vicinissimo. Whannel non ha la magia dell’occhio con cui Carpenter insinua la paura in un fotogramma, ma ne ha studiato la lezione e costruisce la tensione lentamente, con piccoli movimenti di macchina che frugano le stanze vuote. Poi è la volta di sintomi più evidenti – le impronte di un corpo su una coperta, i disegni scomparsi dalla cartellina preparata con cura … Tutti credono che Cecilia sia pazza, come Ingrid Bergman nel film di Cukor Angoscia (il titolo originale Gaslight è anche un verbo, sinonimo di manipolazione psicologica). Whannel è un regista un po’ asettico, che potrebbe divertirsi di più con il potenziale filmico dell’invisibilità. Per quanto efficace (specie grazie a Moss, che è una forza delle natura, e che invece visibilmente si diverte), L’uomo invisibile è un film a cui manca humor. Ma anche quello è parte dello spirito del tempo.