Uno stop di un anno – la crisi morde e anche manifestazioni storiche dell’isola fanno fatica a far quadrare i conti – e a dodici mesi di distanza una nuova ripartenza. Lasciate Cagliari e Olbia, l’European Jazz expo si è spinto all’interno, nella penisola del Sinis, a Riola Sardo, dentro il Parco dei Suoni, una struttura unica che sembra essere stata scolpita apposta per la musica. Un’area ricavata da una delle più antiche cave di pietra arenaria dismesse, dove sono stati allestiti i tre palchi della manifestazione che rivelano agli spettatori, nelle notti degli oltre quaranta live set che si sono alternati nel corso delle quattro giornate (2-5 luglio), un paesaggio straniante e lunare.

Ua ripartenza declinata anche nel segno della sinergia con i principali festival jazz sardi, quelli di Sant’Anna Arresi e Cala Gonone e al rapporto costruito con il Dromos Festival che nel Sinis è di casa da più di 15 anni. Massimo Palmas, direttore artistico dell’EJE, sottolinea l’importanza dell’incontro: «Sognare una terra di giganti, piuttosto che di nani. Pensare in grande, con una suggestione che può partire proprio dal jazz. Finalmente, dopo trent’anni e dopo il fallimento dei tentativi compiuti in passato, si ricomincia a considerare l’idea che un’unione dei festival sardi può dar vita a uno dei più importanti festival europei».

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Uno sforzo che traspare anche nel cartellone messo a punto alternando una vetrina della produzione artistica degli artisti locali – concentrati in particolare nella giornata di sabato – accanto a nomi di richiamo del jazz italiano (Enrico Rava), internazionale (Kurt Elling, Volcan guidati da Gonzalo Rubalcaba) e qualche concessione più mainstream (gli Incognito). Jazz e non solo grazie a contaminazioni e suggestioni lontane dallo spirito originale certo, ma non per questo incompatibili. Come nella serata inaugurale quando il compositore elettronico Arrogalla ha trasformato l’antica cava in una grande installazione sonora, mentre dalla mezzanotte di sabato il Parco dei Suoni è diventato scenario di un aftershow elettronico a base di live e dj set di stampo techno e house.

Decisamente swing la ripartenza di venerdì – la giornata che ha fatto registrare il maggior numero di spettatori del festival complessivamente arrivato intorno alle 10 mila presenze – con la Paolo Nonnis Band, che ha introdotto l’apparizione della pianista giapponese Hiromi, in trio con Anthony Jackson al basso e Simon Philips alla batteria. Set energico dal comune denominatore crossover in cui tratti minimali convivono con citazioni classiche e rock.

Sul palco di pietra Francesca Corrias – nella sua prima incarnazione al festival, l’altra il giorno dopo nei panni di una swing lady alle prese con il repertorio di Ella Fitzgerald insieme alla big band P.N. Big Band – ha proposto il nuovo progetto Biography, incursioni jazz giocate su ritmi hip hop e black, dimostrando una sicura padronanza vocale e scenica. Camicia bianca classe intatta, Enrico Rava ha dato vita domenica a un set di elevata qualità e potenza, insieme al New Quartet, formato da tre giovani talenti: Francesco Diodati, straordinario chitarrista (si è formato sotto la scuola di Roberto Spadoni), il contrabbassista d’assalto toscano Gabriele Evangelista e il batterista Enrico Morello. Esibizione culminata nella versione di un classico del 1935 di Gordon Jerkins reso immortale da Frank Sinatra, Goodbye.

E il fantasma di The voice (una versione introdotta a cappella di All the way) aleggia anche nel live del crooner chicagoano Kurt Elling. Sessanta minuti spesi fra incursioni nel vocalese (Nature boy), nel bolero trascinante di Arrepentida, omaggi alla chanson francaise (La vie en rose), e una trasfigurazione gospel di un classico di Bono e soci: Where the streets have no name. Muscolare e frenetica sul palco di Pietra subito dopo l’esibizione del pianista romano Antonio Faraò, la chiusura dell’EJF affidata ai Funk Off che hanno ospitato in quattro brani la cantante italo algerina Karima.