È possibile raccontare fatti di cronaca all’epoca della rete, dei social, delle rielaborazioni continue che ogni evento subisce nella sua replicazione lungo la catena quasi interminabile delle varie fonti di informazione? E ha ancora senso la figura autoriale, l’io narrante che si fa garante del mondo costruito a partire dalla scrittura? Forse è arrivato il momento di provare qualcosa di diverso che passi non «dalla presunta oggettività dei mezzi di informazione di massa né dal rispetto della verosimiglianza propria del diritto di cronaca, ma, semmai, dal lavoro di manipolazione specifico del letterario». Sono parole, queste ultime di Giulio Milani, ideatore e direttore della nuova serie antologica «Wildworld» per Transeuropa edizioni, di cui di recente è uscito il terzo romanzo, Cancellare la città di Marco Aragno (pp. 220, euro 16,90).

LA VICENDA SI SVOLGE in una sorta di Terra dei Fuochi portata al parossismo, all’interno di un quartiere periferico di Napoli, Casacelle. Ogni notte si scatena un incendio spaventoso che rende l’aria irrespirabile e l’atmosfera sempre più irreale. L’avvio alla storia è dato dallo stupro e dall’omicidio di una ragazza. Subito un giornale di destra incolpa, senza alcuna prova, gli zingari di una comunità che vive nel quartiere. Il campo rom viene bruciato per rappresaglia e un bambino muore nel rogo.
Il giornalista che per primo ha diffuso la fake news, nonostante abbia ricevuto un avviso di garanzia, si fa convincere dal suo direttore, nonché candidato per il Blocco nazionale alla presidenza della regione, Mohammed***, a cercare ulteriori elementi, naturalmente falsi, che rafforzino la bufala. Del resto «se il giornalismo è fiction, noi daremo alla gente la storia che vuole».
Tra fantasmi che sembrano diventare reali, giochi politici, manipolazione di un’opinione pubblica sempre più spaventata e incattivita, presenza pesante della camorra, la vicenda romanzesca segue il suo corso, segnata da inaspettati colpi di scena, mentre la realtà sembra sempre più perdere consistenza, lasciando intravvedere un terribile vuoto che avvolge il tutto e che pare davvero voler cancellare la città. L’atmosfera, insomma, diventa sempre più simile a quella magistralmente descritta in Ubick da Philip K. Dick oppure, si parva licet componere magnis, è come se iniziasse in qualche maniera ad apparire quel nulla, quel vuoto che Montale dice di aver visto «con un terrore di ubriaco» in Forse un mattino andando.

SCRITTO CON UNA PROSA rapida, nervosa, quasi a replicare il ritmo delle serie tv più adrenaliniche, Cancellare la città riesce innanzi tutto a tenere il lettore avvinto alla pagina, pur sollecitando in continuazione tutta una serie di riflessioni sulle tematiche più disparate riguardanti la nostra attualità, dal ruolo dei mezzi di comunicazione, alla figura del lavoro intellettuale, alla spettacolarizzazione diffusa dell’attualità, solo per citarne alcune. Risponde pienamente, inoltre, a tutte le caratteristiche del nuovo tipo di romanzo del reale propugnato da Giulio Milani.
Da un lato, infatti, l’autore «racconta se stesso per interposto fatto di cronaca, risemantizzando un’esperienza indiretta collettiva», non a caso il giornalista protagonista del libro è Marco Aragno. Dall’altro, accettando la sfida di una realtà che supera la fantasia e che può essere vinta solo se la forza inventiva supera a sua volta la realtà, l’opera letteraria diventa «una pellicola sperimentale, dove la realtà simbolica le si sovrascrive» e «l’immagine sovrimpressa non ha niente di realistico ma è più vera e resistente della cronaca».