In Sardegna i fenicotteri sono visibili solo a chi vive vicino gli stagni costieri dell’isola. Santa Gilla, Molentargius, per esempio, sono alcuni tra i posti più noti in cui si assiste allo spettacolo dei trampolieri rosa, esili e fiammanti. Si apre con la loro grazia, mantenendone il ritmo danzante, il libro di Elettra Deiana, Il tempo del secolo (edito da Bordeaux, pp. 288, euro 18, prefazione di Letizia Paolozzi), un memoir, istantanea pulsante e novecentesca. Dalle immagini della terra d’infanzia, mai vissuta a causa di un trasferimento famigliare a Roma dopo i bombardamenti su Cagliari del ’43, veniamo traghettati verso ulteriori moltitudini. Nel ricordo amoroso e mobile che avvince Deiana durante il cinquantenario del ‘68, prende avvio la decisione di scrittura del libro e il relativo processo di riavvolgimento mnemonico, lasco come le mareggiate che portano alla riva inaspettati reperti, e tuttavia preciso come la documentazione e la ricerca per affrontare il proposito di un volume così composto. C’è soprattutto la parabola di una memoria incarnata di donna che ha fatto della propria forza e intelligenza politica punti inaggirabili di attraversamento storico di questo Paese.

DALLA SARDEGNA a Roma, da Milano al mondo, ha percorso gli anni più decisivi della sinistra italiana e delle sue battaglie come delle sue sconfitte, e lo ha fatto da una «militanza femminista» come recita anche il sottotitolo; è una «dichiarazione d’amore» verso la politica delle donne – come bene segnala Paolozzi nella prefazione – e verso l’esperienza della libertà femminile, scoperta, guadagnata e da lì in avanti non negoziabile. Ecco perché Il tempo del secolo va letto come soglia capace di interagire con le tante soggettività incontrate e nominate, cucito al ritmo delle cose piccole degli occhi di Elettra che mostra lo stupore, la passione e l’esattezza capaci di connettersi alla dismisura di un orizzonte fulgido e umbratile nelle pieghe di un secolo; sempre tra il vissuto e la Storia, tortuosità da interpellare per fissarne i luoghi della scena pubblica e politica non emendabili; ne appaiono molti nelle pagine di Elettra Deiana, dal Sessantotto al «nuovo modo di essere» del mondo, dal Pci alla sua trasformazione, dagli anni Ottanta a Tangentopoli e ancora la mattanza di Genova e molto altro dei teatri internazionali in mutazione. L’agio con cui vengono mostrate luci e tragedie in decenni di lotte, protagonismi, erosioni sono quelle che, in particolare dalla fine degli anni Sessanta – con carature più o meno decisive -, hanno costellato una stagione eccezionale e non archiviabile.

UNO DEI CAPITOLI più intensi è dedicato ai corpi, disamina raffinata che porta Elettra Deiana a soffermarsi su quelli della politica seconda ma più in generale sul concetto stesso di corpo, sia esso il proprio, sia l’aspetto biopolitico o riferibile alla fragilità e alla cura – altro tema su cui si è spesa molto (insieme al Gruppo del mercoledì). In questa tassonomia, critica e trasversale che di nuovo taglia l’accadere attraverso una domanda di spazio – ovvero il corpo e i corpi – c’è forse una delle pratiche più preziose per continuare a parlare del presente e della realtà, nella gratitudine di riconoscersi compagne di una strada più lunga. Imparando dalla grazia dei fenicotteri e dal loro danzare, pazienti, sullo spirito del tempo.