La storia di Les Temps Modernes (Ltm) è durata 73 anni, il 6 dicembre 2018 l’editore Antoine Gallimard ha deciso d’interrompere la pubblicazione della rivista. Creata da Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir nel 1945 e diventata negli anni punto di riferimento per la sinistra europea e mondiale, la rivista non raccoglie oggi il numero di lettori sufficienti a farla rimanere in vita.
A SEI MESI dalla scomparsa di Claude Lanzmann, che prese la direzione nel 1986 dopo la morte di Simone de Beauvoir, con una breve lettera agli abbonati, l’editore annunciava la fine di una delle più prestigiose riviste francesi. Ltm non sarebbe più in edicola, il numero 700 in vendita nelle librerie sarebbe stato l’ultimo. Il progetto presentato a Gallimard dal comitato di redazione con Juliette Simont alla direzione non fu approvato dall’editore.

Sarebbe però riduttivo dire che anche in questo caso sia stato «il mercato» a decidere, la chiusura di Ltm testimonia il cambio epocale dei nostri giorni. Si potrebbe parlare di rivoluzione, se la parola non fosse ormai troppo logorata, una rivoluzione nella forma di intendere la critica, la politica, la filosofia e più in generale un altro modo di affrontare le problematiche umane. Anche ora, come direbbe Karl Marx, il cambiamento nel modo di fare produce un altro modo di pensare, un’altra consapevolezza. Anna Boschetti che anni fa ha dedicato un libro alla rivista (Sartre et ’Les Temps Modernes’) ha sottolineato invece «la straordinaria durata della pubblicazione, le riviste sono mortali così come le condizioni che rendono possibile la loro esistenza e il loro successo. Queste condizioni oggi non ci sono più». Quindi nessun rammarico?
Le riviste, come ogni creazione umana, non hanno una vita «naturale» e non muoiono di vecchiaia, prova è che in Francia esistono varie che resistono e attraversano gli anni senza difficoltà (per esempio la Revue des Deux Mondes esiste dal 1829). La chiusura di Les Temps Modernes apre un altro capitolo che interroga la storia della nostra epoca e ci riguarda.

DOPO IL SILENZIO e le complicità della seconda guerra mondiale, si proponeva come uno strumento per coinvolgere gli intellettuali, per coniugare riflessione e azione. Sartre era già uno scrittore noto, prima della guerra aveva pubblicato La Nausea, Il Muro, L’immaginazione, Teorie delle emozioni e nel 1943, nella Parigi ancora occupata, L’essere e il nulla; nel 1944 uscivano A porte chiuse e i primi due volumi della trilogia I cammini della libertà. Ma solo dopo la liberazione, nel 1945, con la conferenza L’esistenzialismo è un umanismo si spalancavano le porte «all’offensiva esistenzialista». Il testo della conferenza diventava il pamphlet della corrente in sincronia con l’uscita della rivista.
Nel primo numero Sartre manifesta la volontà di «apportare un’intelligenza globale al mondo». «Voglio dare una filosofia al dopoguerra», riflettere sulle cose di tutti i giorni per trasformare l’essere umano e la società. Pensare per cambiare, per rendere concreta la liberazione. Così Jean-Paul Sartre definisce il suo ambizioso impegno e quello del gruppo promotore. Il comitato di redazione, oltre a Sartre e Beauvoir, è formato da intellettuali di primo livello come Raymond Aron, Michel Leiris, Maurice Merleau-Ponty, Albert Olivier e Jean Paulhan. La copertina è disegnata da Pablo Picasso.

LA RIVISTA vuole essere la trasformazione di una esperienza individuale in una «scuola di pensiero collettiva» che sappia cogliere la filosofia nella vita senza che questo comporti né l’appiattimento dell’esistente, né la banalizzazione del pensiero. «Ogni epoca scopre un aspetto della condizione umana – esordiva Sartre – in ogni epoca l’uomo si sceglie di fronte agli altri, all’amore, alla morte, al mondo» e in ogni essere umano si realizza «un progetto singolare e assoluto». La filosofia deve esistere, non si tratta di sprecare la vita dietro vuote astrazioni ma di scrivere per i contemporanei, incidere nel presente, lasciare un segno nella storia.
Simone de Beauvoir in uno dei suoi ultimi articoli su Ltm spiega che Sartre pensava che se la verità è una bisogna cercarla dappertutto: «Ogni prodotto sociale, ogni atteggiamento, il più intimo come il più esteriore ne sono incarnazioni allusive. Un aneddoto può riflettere tutta un’epoca, allo stesso modo d’una costituzione politica». Ai redattori della rivista il compito: «noi dovevamo essere dei cacciatori di significati, avremmo detto la verità sul mondo e sulle nostre vite». Sartre aveva fatto sua la nozione di Kierkegaard per esprimere la proposta dell’«universale-singolare». Dove ogni elemento esprime la totalità di cui è parte.

L’UNIVERSALE astratto diventa un atto singolare e concreto. La biografia incarna con il suo vissuto la storia e la fa esistere nel presente, è una totalizzazione sempre in corso che va dalle grandi costruzioni globali alle problematiche quotidiane che affliggono l’esistente nel suo agire concreto e situato.
L’universale-singolare è l’espressione che contiene entrambi i momenti nella dinamica in cui si costruisce il sé realizzando la storia e la storia realizzando-si in essa. In questa tensione tra le due polarità l’individuo non è mai isolato ma sempre un essere-nel-mondo vincolato a sé e agli altri.
Bisogna innanzitutto dire che la chiusura della rivista non ha suscitato grandi clamori, anzi, è stata per lo più ignorata confermando che gli ingranaggi della modernità stritolano il passato lasciandosi dietro il vuoto.

È vero che i tempi sono cambiati, ma l’idea di modernità che ritraeva Charles Chaplin nel celebre film, da cui prende nome la rivista, rimane. La lotta per arrestare le lancette del grande orologio ripropone il mito di Sisifo. Oggi l’accelerazione della vita non è più scagionata dalla tecnica o dalla meccanica, è l’immaterialità elettronica che riesce a imporre con dolcezza un ritmo disumano. La velocità sembra essere un valore indiscusso che prevale su tutto.

SI SCIVOLA facilmente nel limbo del «sonnambulismo quotidiano», si viaggia nel virtuale e si rimane incantati, con gli occhi spalancati di fronte alla perfezione di un mondo immaginario e irreale. Il tempo guadagnato nel lavoro, ora affidato a complessi congegni che ci fanno risparmiare fatica e sudore, non diventa mai tempo libero, perché subentrano in continuazione nuove cose da fare, nuovi impegni e rinnovati affanni.
Purtroppo rimaniamo convinti che più è meglio. Così, il prevalere della logica della produttività, che genera eccesso su ogni ambito, colpisce anche il sapere e si fa contro-finalità, troppa informazione si converte in disinformazione. Siamo saturi e con sempre meno tempo per pensare e riflettere, forse possiamo anche fare a meno di Ltm, ma il compito resta: creare nuovi spazi di pensiero e lotta per contrastare la disumanità dilagante del mondo.