All’arrivo dell’estate andavamo all’Eur, sia di notte che di giorno. In notturna, durante i giorni feriali; in diurna, nei pomeriggi delle domeniche. Tutto era cominciato a mezzanotte. Al suono della sveglia di mezzanotte e mezza, precisamente. Tre ore di sonno e via, in fretta e furia ci s’infilava le scarpe (si dormiva mezzi vestiti) ci si sciacquava e ancora intirizziti ci ammucchiavamo sugli autocarri dove venivano distribuite le bustine di plastica contenenti il cordiale. Un’ora buona di strada prima di essere scaricati nell’ampio piazzale antistante il Palazzo dello sport di Pierluigi Nervi. All’Eur, appunto.

Le levatacce proseguirono per una quindicina di notti, in vista della sfilata del 2 Giugno. Scorrevano i primi anni ’70 e giusto a inizio di decennio, all’interno della struttura sportiva, si era esibito in concerto dinanzi a 12.000 giovani (quanti se ne potevano contenere) il gruppo non ancora del tutto rockettaro dei Rolling Stones. Con l’ambiente del quartiere direzionale familiarizzammo da subito, attratti dal luna park permanente di via delle Tre fontane, dagli impianti acquatici di viale America (la piscina delle Rose, il laghetto artificiale) e dalla stessa “Metropolitana di Roma” (la prima in città), come veniva chiamata allora la linea B, che ci portava dalla stazione Termini all’Eur.

Tutte opere realizzate nel corso degli anni ’50 che, insieme con l’architettura dei vari palazzoni grosso modo coeva, rappresentavano i segni tangibili dell’epoca moderna che noi ragazzi stavamo avendo l’opportunità di attraversare. In fondo ciò che ci calamitava era proprio la formazione, l’organizzazione e la diversità di quel pezzo di città del ventesimo secolo contrapposto nettamente alla Roma millenaria del centro storico. Trafficato e tumultuoso questo, spopolato e silente quello. Il primo asfissiato dagli ambiti ristretti propri della centralità, il secondo ventilato dalla spazialità propria delle aree periferiche. Gli affari multiformi, la politica diffusa, il turismo massificato tenevano già ingabbiata la Roma dei sette colli. Che meno gradivamo. Complici le scorribande notturne che eravamo stati obbligati a compiere facendoci conoscere sufficientemente il quartiere, eravamo ora liberi di girovagare nell’ordito di innumerevoli strade che si aprivano in scenografiche piazze di quella che fra noi chiamavamo Euroma. Una parola inventata per racchiudere quartiere e città. Guerrini, mantovano, era il coetaneo con cui si filava d’intesa e d’accordo. Vi giungevamo direttamente dal capolinea di Termini e sbucando da Eur Marconi (corrispondente all’attuale Eur Palasport) trascorrevamo i pomeriggi domenicali alternando alla piscina olimpionica delle Rose il bordovasca del laghetto artificiale. In slip e infradito sulla banchina del lungo lago, pressoché deserta, prendevamo appagati il primo sole di un’incipiente estate.