Lui è Aurélien Bory, artista che ha firmato uno dei lavori più accattivanti del circo contemporaneo, lei è Kaori Ito, danzatrice giapponese dalla temperatura emotiva pungente, fisico iper-snodato, uno dei volti più noti dei les ballets C de la B di Alain Platel. Insieme hanno presentato, alle Fonderie Limone di Moncalieri per il festival Torinodanza, Plexus, creazione di Bory ideata sul talento particolarissimo di Ito e ambientato all’interno di una magica installazione attraversata da fili di nylon.

Si inizia nel silenzio con Ito di fronte al pubblico. Immobile, tiene la scena e l’attenzione del pubblico, con la sua presenza interrogativa. Kaori si passa un microfono sotto la canottiera e ascoltiamo il suo cuore, il pulsare ritmico del corpo, mentre il suo sguardo si estende sulla nostra attesa. Passerà poco tempo e verrà risucchiata dentro il telo nero di sfondo. L’occhio dalla platea cerca l’immagine nel buio. Riapparirà in un fluire di visioni, una sorta di box degli incanti nel quale i fili di nylon diventeranno scale, fughe verticali, piani orizzontali.

Ito danza all’interno del box ed è un movimento che sembra miracolosamente ignorare le leggi di gravità, la fatica dell’elevazione, i pericoli di un off balance, la perdita d’equilibrio. Ito pare sollevata nell’aria attraversata dai fili. Non lo è.

Non ci sono trucchi, né cavi, solo scarpe, mani prensili, una fisicità che sfida se stessa in uno spazio di cui sentiamo la resistenza e i vuoti improvvisi. Le gambe si attorcigliano intorno a gruppi di nylon, il corpo vola in avanti proteso in un disequilibrio fascinoso, fermato in pose impossibili da altri fili tesi. Di chi è questa danza tra vuoti e pieni, sospesa per aria, a chi appartiene questo corpo ingabbiato, eppure libero, che scivola verso il basso e risale per rimanere lunghi attimi fermo a mezz’aria?

Novella e ipnotica donna ragno, Ito ci regala con Bory una visione concreta, tangibile (è vero corpo e non proiezione) quanto metaforica di quella utopica dimensione virtuale che fa parte del mondo contemporaneo. E a spettacolo chiuso, ci si avvicina alla scena, perché si vuole scoprire di cosa è fatto il magico box, perché si vuole entrare nel sogno, che, con Bory e Ito, è strepitosamente alla portata del tocco, un sogno che non scompare dentro uno schermo spento di un pc, tra inganni e stordimenti della fascinazione virtuale.