Ci sono voluti 15 giorni ma alla fine i capitani si confrontano nel sospirato vertice, mentre per la squadre al completo l’appuntamento è per il consiglio dei ministri convocato oggi nel primo pomeriggio. Solo che in queste due settimane è cambiato tutto, a partite proprio dalle squadre che si fronteggiano. La tensione tra Lega e 5S si è stemperata, quella tra i due partiti della maggioranza da un lato e la «terza gamba» del governo dall’altro, quella che fa riferimento al Quirinale, si è impennata.

IL PREMIER CONTE, spalleggiato e sospinto dal Colle, reduce dall’incontro pomeridiano con Manfred Weber, candidato del Ppe alla presidenza della Commissione Ue, arriva all’appuntamento deciso a ottenere una delega in bianco per trattare con Bruxelles senza che i due rumorosi vice se ne impiccino più che tanto. Non è certo una coincidenza se proprio ieri il premier ha fatto uscire un’intervista bomba nella quale proprio lui, di solito così attento a dire il meno possibile, chiarisce con brutale trasparenza i termini del confronto: «Devo poter condurre insieme al ministro dell’Economia il negoziato senza cacofonie e distonie». Come dire: zitti e al vostro posto.

Con i due leader politici Conte insiste, come aveva già fatto nell’intervista, su quanto grave sarebbe per il Paese la procedura d’infrazione per debito e quanto il rischio sia concreto e imminente. Dunque la procedura deve essere evitata e a questo fine è essenziale non sfidare Bruxelles: «Se qualcuno pensa di andare in Europa a dire che sforeremo il 3% io non ci sto», si sfoga con i collaboratori più stretti. E’ la carta che intende giocare se le resistenze saranno troppo forti: le dimissioni, con annessa crisi di governo e probabili elezioni. Lo anticipa senza peli sulla lingua nella stessa intervista: «Rischiamo di andarcene tutti a casa. Di certo me ne vado io». Il ragionamento che Giuseppe Conte illustra ai suoi è stringente: «Ce l’ha la forza per cambiare le cose in Europa Salvini? Non ce l’ha». E’ la contraddizione nella quale si dibatte il capo leghista, che ha stravinto in Italia ma perso in Europa. Si trova in posizione di massima forza nelle trattative interne con i soci di governo ma di estrema debolezza in quelle, decisamente più importanti, con Bruxelles.

LA QUERELLE SUI MINIBOT del weekend, proseguita anche ieri con lo schieramento prima di Alessandro Di Battista poi del leghista Claudio Borghi, dunque di entrambi i soci, a favore della misura bocciata da Draghi e affondata da Giovanni Tria in stretto coordinamento con il premier, è insieme il primo atto dello scontro e la prova generale. Conte non ha alcuna intenzione di retrocedere, anche se, come ricorda Borghi, «i minibot sono nel contratto e pensavo che non ci fosse proprio da discuterne». Contratto o non contratto i minibot comporterebbero oggi lo scontro immediato con la Bce e con la Commissione europea e il sospetto che la Lega stia provocando apposta, a palazzo Chigi è palpabile.

Alla determinazione di Conte, ma in realtà di tutto il «partito del Quirinale», dunque anche di Tria e del ministro degli esteri Enzo Moavero, non sembra corrispondere un atteggiamento ugualmente battagliero sul fronte opposto. Matteo Salvini continua a parlare di abbassamento delle tasse, ai 5 Stelle che martellano sul salario minimo risponde che prima deve esserci il taglio fiscale. Ma non adopera mai la formula maledetta, Flat Tax, e soprattutto sorvola, almeno sino alla vigilia del vertice, sulla richiesta, sin qui imperativa, di portarla al consiglio dei ministri di oggi. La linea del ministro degli Interni resta quella di evitare la rottura con i pentastellati: questo ripetono i suoi collaboratori e gli alti ufficiali leghisti. Ma oggi non è più quello il punto critico: è decidere se affidare a Conte e Tria i pieni poteri in materia economica, rinviando dunque ad anno da destinarsi la Flat Tax, o puntare i piedi e rischiare l’esplosione generale.

NELLA PARTITA RIENTRA inevitabilmente la questione del commissario italiano. Con Weber Conte ha insistito per un commissario economico, ma è sul nome dell’eventuale candidato che tra Conte e Salvini potrebbe alzarsi ancora di più una tensione già alta. La Lega vuole che nella commissione sieda un suo uomo: Giancarlo Giorgetti in pole position, ma se del caso anche Fontana o i governatori Zaia e Fedriga. Il premier ha già messo le mani avanti: non è mica certo che il Parlamento europeo un candidato del genere lo approverebbe a maggioranza. L’alternativa naturale, certamente gradita al Colle, a Bruxelles e a Strasburgo, sarebbe Moavero. Significherebbe, per la Lega, accettare di non toccare palla nella trattativa con la Ue.