«La storia ci giudicherà». Giuseppe Conte parla in aula a una delegazione di deputate e deputati. Seduti a distanza di tre metri, modelli diversi di mascherine calate sul collo o, raramente, indossate, sono la quota che i gruppi parlamentari hanno convenuto di far intervenire per non affollare troppo il palazzo. Centoventi rappresentanti del popolo su seicentotrenta. Continua, e si ripeterà anche oggi al senato, l’esperimento di autoriduzione delle camere, come alternativa alla partecipazione in teleconferenza.

Difficoltà per chi doveva arrivare a Roma da fuori regione. Con aerei e treni ridotti al minimo c’è stato un revival dei lunghi viaggi in auto, ovviamente solitari. Tornate anche le colazioni al sacco, distribuite alla bouvette (chiusa). Tanto che un deputato di Forza Italia ha proposto, se si vuole garantire sul serio che il parlamento possa restare aperto, di precettare alberghi e ristoranti di Roma.
Il ritorno del presidente del Consiglio in parlamento – c’era stato l’ultima volta precedentemente al primo caso di un italiano contagiato, cinque settimane fa – non è servito ad alimentare il clima di concordia nazionale che auspica il presidente della Repubblica. Le opposizioni hanno attaccato, soprattutto la Lega e Fratelli d’Italia, mentre Forza Italia ha sottolineato che Conte non ha avuto «l’umiltà» di chiedere collaborazione. In parallelo al senato falliva il tentativo dei capigruppo di maggioranza di trovare un accordo per un percorso condiviso con l’opposizione del decretone “Cura Italia”.

E proprio mentre si comincia a discutere dei primi 25 miliardi per fronteggiare la crisi. Conte ha messo le mani avanti sul nuovo decreto economico atteso per aprile. Il centrodestra chiede un altro scostamento di bilancio per 50 miliardi, il presidente del Consiglio ha detto che sarà un decreto «altrettanto significativo» e «di non minore importo»: per il momento l’ordine di grandezza al quale pensa il governo resta quelli di altri 25 miliardi. Ma nel prossimo decreto ci saranno tutti gli «interventi a tutela dei nostri asset strategici». Vale a dire quel «golden power» che è una delle preoccupazioni principali di palazzo Chigi, preoccupato da scalate ostili alle nostre imprese in difficoltà.

Ma più che del prossimo, Conte avrebbe dovuto parlare del decreto che ha annunciato martedì pomeriggio in conferenza stampa e che fino a ieri sera ancora non era stato pubblicato (ma che il presidente della camera ha persino già annunciato in aula). Si tratta di un provvedimento importante, indispensabile per ricondurre le misure che limitano le libertà personali, ha ammesso Conte, «in una fonte di rango primario». Perché, ha spiegato, «il nostro ordinamento non conosce una disciplina degli stati di emergenza e abbiamo dovuto costruire un metodo di azione». Metodo originale, basato quasi esclusivamente sui decreti del presidente del Consiglio (Dpcm) e sulle ordinanze ministeriali o dei presidenti di Regione, atti gerarchicamente subordinati alle leggi. Il che ha contribuito non poco al caos delle competenze, fino al punto che neanche i governatori che si sono spinti in avanti, vietando più di quello che ha vietato il governo, avevano la certezza sulle norme in vigore nel loro territorio.

Dovendo ancora fare ricorso alle bozze ufficiose, in questo ultimo decreto sono previste alcune novità significative rispetto ai divieti già in vigore, e cioè la possibilità di sospendere tutti i trasporti, la possibilità di ordinare la chiusura anche delle attività economiche essenziali e una quarantena definita non più «isolamento volontario» ma «precauzionale». Quanto al ruolo di controllore del governo che ieri il parlamento bonsai si compiaceva di aver ritrovato, il presidente del Consiglio ha confermato che anche in futuro farà ricorso ai Dpcm, ma «saranno trasmessi ai presidenti delle camere». Per conoscenza, nulla più. Mentre lui stesso, o un qualsiasi altro ministro, verranno a informare le camera, senza che sia previsto un voto, «ogni quindici giorni».