Dopo due giorni di voci in libertà sull’ipotesi di una riforma fiscale finanziata con il Recovery Fund, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri mette un punto fermo: «Tecnicamente non si useranno le risorse del Recovery. Quelle sono risorse straordinarie mentre le riforme fiscali si fanno sulla base degli andamenti strutturali». Prima di lui era stato il ministro delle Politiche comunitarie Vincenzo Amendola a chiarire le cose: «I sussidi del Recovery sono destinati a investimenti, non alla spesa corrente».

Il ministro Gualtieri non rinuncia alla riforma che lui stesso ha annunciato e considera i sussidi europei fondamentali anche se non in maniera diretta. Contribuiranno infatti a «liberare risorse» per le riforme strutturali, tra le quali primeggia quella fiscale. La partita però, messa così, si annuncia complessa perché gli strumenti principali su cui conta il ministro sono i pagamenti elettronici e la lotta all’evasione. Sulla carta va benissimo. Nella pratica e alla luce delle esperienze passate è lecito dubitare che bastino a finanziare il taglio delle tasse in una fase segnata dall’impennata del debito pubblico, con un Pil che se va bene calerà del 9% e se va male del 13%, con lo spettro dell’insostenibilità del debito dietro l’angolo.
Nei prossimi mesi però si può scommettere a colpo sicuro che proprio la riforma fiscale diventerà il campo di battaglia principale, sia nella maggioranza che nella sfida tra maggioranza e opposizione. Luigi Di Maio è lanciatissimo: «È il momento di fare uno scatto in avanti sul fisco ed è evidente che gli aiuti dell’Unione europea permetteranno di sbloccare risorse interne. Dobbiamo fare i conti con la realtà che ci mette di fronte a un’emergenza economica senza precedenti». Il ministro pentastellato non si risparmia una frecciata rivolta probabilmente proprio al collega del Pd Amendola: «È un bene che l’abbassamento delle tasse sia entrato nel dibattito. Mi spiace leggere alcune posizioni contrarie».

Le tasse però sono da sempre il cavallo di battaglia della destra e Matteo Salvini non intende farsi scippare il tema più succoso in termini di propaganda. Rilancia con un ddl, firmato da lui e da Armando Siri, che ripropone la Flat Tax: «Costerebbe 13 miliardi ma solo all’inizio, poi la gente paga di più, consuma di più e lo Stato incassa di più». Siri si uniforma alle metafore mediche: «La Flat è l’antibiotico. L’assistenzialismo è l’aspirina».
Con tutte le difficoltà del caso e con una raffica di spostamenti di risorse per evitare che il Recovery Fund finanzi «tecnicamente» il taglio delle tasse, il governo tenterà davvero una riforma fiscale modellata sulle richieste di Confindustria. La pentastellata viceministra dell’Economia Laura Castelli lo ripete: «Il Recovery è uno strumento temporaneo che va usato per avviare le riforme strutturali». Le indicazioni del governatore di Bankitalia Ignazio Visco, ieri, sono state più esplicite di come non si può. Il «profondo ripensamento» che considera necessario «deve porsi l’obiettivo di ricomporre il carico fiscale a beneficio dei fattori produttivi». L’obiettivo, prefigurato dalla cancellazione generalizzata della rata Irap di giugno, è smantellare definitivamente la stessa Irap. Contrabbandata come decisione tecnica sarebbe invece una scelta squisitamente politica.

Nella maggioranza sedicente di centrosinistra gli unici a obiettare sono i capigruppo di LeU. Loredana De Petris chiede di mettere ai primi posti «strumenti per evitare l’aumento delle diseguaglianze». L’omologo alla Camera Federico Fornaro è più esplicito: «Piano straordinario di lotta alle povertà, non taglio generalizzato delle tasse». Giusto per ricordare che, sempre secondo Visco, il 20% più povero degli italiani ha pagato la crisi il doppio degli altri.