Che cos’è Ammore e Malavita? E’ una commedia? un noir? Un musical? Un film sul cinema?

« se potessi spiegartelo con le parole farei il compositore di frasi anziché fare film nella vita»

Ha ragione Marco Manetti, dei Manetti Bros, a trovare di difficile definizione questo film rutilante, in sala dal 5 ottobre e passato in concorso a Venezia come uno zefiro fresco di novità, in cui romance e crime si servono alla napoletana, si balla come a Bollywood, si canta come solo a Napoli, si ride e si spara…

Don Vincenzo (Buccirossi) e Donna Maria (Gerini) reggono una sgangherata cosca camorristica e organizzano, come in 007 Si Vive Solo Due Volte, la falsa morte del boss per sfuggire alle famiglie rivali, ma vengono traditi da Ciro (Giampaolo Morelli), uno dei loro due killer di fiducia (l’altro è Carmelo, un sorprendente Raiz ex-Almamegretta), che invece di fare fuori l’infermiera (Serena Rossi), suo primo amore, che ha sgamato involontariamente l’inciucio, fugge con lei tra sparatorie e parodie, coreografie (di Luca Tomassini) e canti (di Nelson), battute e gags.

  • Ma allora cos’è Ammore e Malavita?

È difficile trovare una definizione univoca. Non è né un film su Napoli, né un film sulla camorra. Forse è un film sull’amore, sulla libertà, la libertà di amare e calato in un contesto volutamente molto napoletano.

  • Non è forse anche un film sul cinema, una professione d’amore per i suoi sotto generi?


No, un film sul cinema non direi, il cinema, semmai, ci rientra per altre vie. Innanzitutto entra nel plot, ci si inserisce attraverso il personaggio di donna Maria, che ispirandosi in tutto e per tutto al cinema riesce a cambiare volto alla piccola cosca del marito. Quello, però è il suo cinema, non il nostro, è un pretesto per raccontare un carattere che ci permettesse di coniugare mala vita e fantasia, non una qualche forma di citazionismo colto da parte nostra o di omaggio al grande cinema.

  • C’è, però, il riferimento parodico a certi stereotipi come il Gomorrismo o il “missionimpossibilismo” alla Jason Bourne


Quella sul Gomorrismo è più un’osservazione sulla realtà che non sul cinema, non ci occupiamo specificamente della serie televisiva o del film, quanto piuttosto del fatto che attraverso quella serie, il libro e il film, Napoli venga rappresentata e recepita come se ci fosse la camorra e basta, come se il suo contenuto estetico fosse Scampia, invece che il suo bellissimo golfo o il suo immenso patrimonio culturale e artistico. Questa mitologia non nasce, o non nasce solo, dal cinema, ma anche, soprattutto direi, dalla cronaca e dalla letteratura e quindi l’osservazione non riguarda il solo cinema, ma la vita. Per il resto è vero che ci sono riferimenti parodici a diversi generi, il fatto è che siamo veramente appassionati di cinema, e contemporaneamente abbiamo una spiccata sensibilità personale e senso dell’ironia. Facendo cinema ci mettiamo dentro il cinema che ci piace ma, come dire, un po’ rivisitato. Non è una questione di intenzione, di voler fare parodie, quanto del nostro modo di fare cinema. É proprio che è così il nostro cinema. L’intenzione è di parlare al cuore, non alla mente.

  • Una cinefilia “da divano”, anti-colta per vocazione…


La nostra cinefilia, sempre che di cinefilia si possa parlare, non è né cattedratica ne tecnica, noi più che cinefili ci sentiamo spettatori appassionati. E infatti nel film è Donna Maria a incarnare questa passione per il cinema, che è nazional-popolare sin nel midollo, le sue passioni in merito non sono certo le nostre però è lo stesso tipo di passione per i film, riflette il nostro spirito.

  • Ma quand’è che il cinema diventa ridicolizzabile, degno dello sguardo ironico dei Manetti?


Non c’è mai irrisione maligna da parte nostra, ci scherziamo su con grande, grandissimo, amore. Non so dirti con esattezza come nasca questa cosa, istintivamente ti direi che, essendo appassionati di cinema, scriviamo delle storie che sono fatte come i film che ci piacciono. Avendo però, sia come cineasti che come persone, un certo pragmatismo ironico, la cosa che il cinema esagera, o rende un po’ finta, ci fa ridere. Allora la raccontiamo con amore pur rendendoci conto della sua non credibilità. La scena di uno che fa 10 salti mortali inforca la moto al volo e parte a razzo mi piace, mi diverte, anche se ovviamente non riesco a prenderla troppo sul serio, perché “troppo troppo” non ci credo.

  • Questi differenti generi cui vi riferite finiscono col determinare il Manetti syle, uno stile registico “instabile”, fatto di stili diversi per montaggio, scelte di macchina, direzione degli attori ecc.


È un qualcosa di cui non abbiamo piena coscienza, la assorbo più che altro da quello che leggo e sento su di noi. Se provo a fare dell’autocritica devo ammettere che che spesso non abbiamo uno stile molto omogeneo, la gestione spesso cambia molto da scena a scena. La speranza è che il tutto confluisca in una costruzione armonica, perché dietro c’è un modo di operare ben preciso. Per noi però è involontario, istintivo. Non dipende da un progetto a tavolino.

  • Le parti da commedia d’amore virano sul sentimentaloide, da telenovela di terzo ordine, in una sorta di parodia delle logiche iper sentimentalistiche di certe produzioni televisive…


È l’incontro tra la sceneggiata e la commedia a produrre questo effetto. Credo che ci sia un tono generale da commedia leggero, non comico, ma da commedia, con un’esagerazione voluta dei sentimenti che è proprio della sceneggiata, come dichiara anticipatamente il raddoppiamento dialettale della emme di “am(m)ore” del titolo.

  • Seconda opera napoletana dopo Song’ e Napule. E’ una città che con i suoi contrasti si attaglia bene al vostro cinema, la criminalità e la voglia di riscatto di tanti, il senso umoristico incrollabile della gente, la sua grande umanità sentimentale…commedia e crime stories che si respirano con l’aria…

Non non ci avevo mai pensato in questi termini però oggettivamente Napoli ci calza come un guanto. Abbiamo trovato lì tutto ciò che ci piace. C’è il Crime, è vero, ma lì c’è anche la possibilità unica di trattarlo con ironia proprio perché è una città con un umorismo incredibile, in grado di resistere alle peggio cose, e poi ci piacciono i buoni sentimenti lì sono talmente amplificati da giustificare la dimensione affettuosa dello scherzo.La differenza tra i due film è che il primo è un film su Napoli, che vuole dire qualcosa di Napoli, quest’altro è un film che si immerge a Napoli, Ma non è su Napoli.

  • Ci sono delle logiche di costruzione interna precise, l’estremo tragico di Carmelo è bilanciato dal comico di Don Antonio e donna Maria, Ciro, come parte semiseria, si colloca in posizione equidistante da questi estremi, e le parti secondarie si distribuiscono equamente ai due lati dello schema…


È stata una ricerca molto difficile, quasi da equilibristi, tra l’altro avrai notato che non riguarda solo la distribuzione tra parti comiche, drammatiche e semiserie, ma anche il montaggio, in cui abbiamo sempre ricercato una sorta di equilibrio. Il tentativo era quello di far transitare lo spettatore da uno stato emotivo all’altro senza che si stancasse e con naturalezza, senza discontinuità fastidiose, ma anche Per una quantità di tempo tale da non fargli perdere di vista lo stato emotivo precedente. La gestione degli stacchi è stata fondamentale.

  • Ciro, killer efferato, ha la faccia pulita, da buono, di Giampaolo Morelli, la scelta sembra strategica, vi permette di inscrivere anzitutto nel corpo, nel volto, la possibilità di una redenzione a venire…


Non è solamente la faccia rassicurante, qui entra in gioco uno dei grandi talenti di Giampaolo. Con noi ha fatto Coliandro, Piano 17, e Song’ e Napule più questo. Sono personaggi molto diversi tra loro ma tutti accomunati dal fatto di avere dei lati odiosi, insopportabili, e lui ha il talento di renderli simpatici, di dare una qualità positiva ai lati oscuri. Non bastava la faccia pulita ci voleva proprio Giampaolo.

  • Anche il cattivo, Carmelo-Raiz, è sui generis, cruento assassino, sì, ma talmente leale e onesto nei propri (dis)valori da ispirare più che condanna una forte em-patia


Due considerazioni una generale e una specifica. Partiamo da quella specifica. Carmelo è il personaggio con cui ci si identifica di più, capisci quello che fa, e spero, che si soffra con lui, come accadeva me scrivendo la sceneggiatura. Avevo sempre il dubbio di dover in qualche modo abbassare un po’ il tono di questo carattere da quanto risultava doloroso. Tradito dal proprio fratello, non è dotato della sensibilità necessaria a capire l’amore, e quindi il voltafaccia di Ciro. Non capisce e quindi prova un dolore inspiegabile, totalmente distruttivo. Su un piano più generale, poi, credo che nella storia del cinema i cattivi puri, i cattivi cattivi, non abbiano mai funzionato. Quelli che funzionano sono i cattivi che suscitano profonda identificazione, per dirne due diversissimi pensa al Perkins di Psyco piuttosto che a Darth Vader, prigionieri di se stessi, umanamente deboli, cattivi che sono in qualche modo parte di noi. In un film emotivamente riuscito il buono e cattivo sono due parti di te, sono la tua debolezza e il tuo valore. E come tutti i grandi cattivi è destinato a un destino tragico. In verità abbiamo cercato tutti i modi possibili per non farlo morire, ma questo film non poteva finire senza la sua morte, era la condizione indispensabile per l’emancipazione di Ciro.

  • Ciro ammazza e tradisce ma tutto gli viene perdonato, perché agisce per am(m)ore. L’amore come forza redimente universale? E’ questa la morale ultima?


l’amore, anzi di più, la libertà di amare, è questa la forza che ci muove. È possibile rinunciare all’amore per un nostro ideale personale ma è impossibile rinunciarci perché qualcuno non vuole che tu ce lo abbia.

  • E questo messaggio fondamentale è affidato al verso di una canzone…


È la logica del Musical… Perché onestamente al di là del valore di spettacolo se non usi le canzoni per approfondire gli elementi fondamentali del film in maniera diversa da quella consentita dalla parola recitata ma chellofaiaffà un Musical? È il tentativo di raccontare attraverso le parole ed emozionare attraverso le canzoni. È una forma di uso poetico della parola, perché è una parlata non naturale,che si avvantaggia di quel potentissimo attivatore emozionale che è la musica.

  • Le musiche di Pivio e Aldo De Scalzi e le canzoni di Nelson accorpano sonorità e atteggiamenti compositivi molto diversi, l’elettronica piuttosto spinta, struggenti partiture per archi, neo melodici napoletani, chitarrismi distorti, e quant’altro

In linea di massima i momenti più tensionali e cupi hanno sonorità più sintetiche e scure, mentre ai sentimenti “ariosi” corrispondono parti più melodiche e tradizionalmente armonizzate, senza che ci fosse una chiara volontà programmatica in questo senso è una corrispondenza che noto a posteriori.

Poi, come già ti ho detto, qua la musica, proprio per quella che è la logica del musical, ha un ruolo primario nel raccontare il senso del film, i suoi sentimenti, quindi cambia molto anche per corrispondere alle diverse situazioni emotive.

  • Un cast straordinario in cui Buccirossi e Gerini la fanno da mattatori assoluti…

Buccirossi è un mostro sacro, è anche facile da dirigere perché il personaggio lo riempie da sé con quella sua arte mimica, espressiva e di caratterizzazione che è unica, al di là di poche direttive generali che devi dargli come regista crea letteralmente il personaggio in quasi autonomia. Anche Giampaolo fa molto da sé, ha grande capacità di invenzione. Claudia, poi, non la scopriamo certo noi due, ha fatto cose meravigliose come caratterista, vedi i film di Verdone. Qui ha saputo creare una sintesi di donne televisive e cinematografiche che dirti irresistibile è poco, dalle donne di mala in stile Gomorra, alla moderna conduttrice di talk-show, passando per Maria Nazionale e la genia delle tele-imbonitrici e cartomanti delle emittenti private, e con in più la difficoltà linguistica del dialetto, perché parlare in maniera più o meno credibile una lingua non tua è un conto, mentre padroneggiarla al punto di poterne fare un uso comico è tutta un’altra storia. Davvero, ma davvero, straordinaria la Gerini.