Il tempo della complessità, di Mauro Ceruti (Raffaello Cortina Editore, pp. 200, euro 14, prefazione di Edgar Morin) si è venuto caratterizzando, in questi mesi, come un manifesto culturale e politico, che ha mobilitato la riflessione di recensori e studiosi sugli organi di stampa e un capillare confronto col pubblico nelle presentazioni, che si sono svolte e si svolgono nel paese. Quasi una risposta al diffuso desiderio di confronto e di costruzione di una, diciamo, «azione intellettuale comune», le cui ricadute di tipo politico e antropologico la devastata sinistra italiana sembra però molto lontana dal saper cogliere e organizzare in progetto. La coscienza collettiva, in questi decenni, è caratterizzata da un crescente disorientamento culturale, sociale e politico, dall’ansia estesa, sebbene in modo sotterraneo e politicamente informe, della ricerca di nuove risposte, anzi, di nuove domande sul destino dell’uomo.

È DEL TUTTO EVIDENTE, infatti, che ormai dal secolo scorso, dalle carneficine della lunga guerra civile europea nei due conflitti mondiali, con il loro portato esiziale e devastante di Shoàh, pulizia etnica e bomba nucleare, l’umanità intera ha dovuto constatare che l’evoluzione scientifica, economica e tecnologica, che ha caratterizzato il suo stesso progresso, l’ha condotta a scoprire drammaticamente di vivere ormai alla temperatura della propria auto-distruzione e della minaccia irreversibile alla vita sul pianeta. E tale consapevolezza, per quanto latente o esorcizzata, pone tutti di fronte all’evidenza di una svolta antropologica della civiltà e della sua autocoscienza.

La natura della guerra e la qualità pervasiva e devastante del conflitto, a ogni livello, nel mondo contemporaneo; l’entità epocale dei fenomeni demografici e di migrazione, con tutto ciò che comportano come deriva di disgregazione e di morte; i tassi di insostenibilità dell’inquinamento dell’acqua, dell’aria e della terra, che portano la vita al collasso e al depauperamento di ogni risorsa sull’intero pianeta; un modello economico-finanziario globale che, nella sua crisi irreversibile, sopravvive solo a prezzo di sempre più grandi povertà e diseguaglianze; e poi i risorgenti fondamentalismi, i nazionalismi, i particolarismi, la crisi della democrazia, il blocco dei progetti comunitari in Europa, il dominio della tecnocrazia, l’impoverimento e le semplificazioni culturali, l’inefficacia dei processi di formazione nella scuola. Tutto questo racconta quale sia il carattere globale, e forse esiziale, del passaggio evolutivo che l’intera umanità ha di fronte. E la svolta che si configura non è più l’opzione di menti e visioni illuminate o l’oggetto della speranza dei semplici e dei diseredati, non è più soltanto il fondamento di una scelta etica o di una concezione solidale della vita, ma un vero e proprio imperativo evolutivo per l’umanità e per la terra. Il che comporta la necessità ineludibile di scelte, anche quotidiane, che ribadiscano la vita in opposizione alla morte, la condivisione rispetto al conflitto, la solidarietà al posto del dominio.

SU QUESTI INTERROGATIVI epocali, il libro di Ceruti cerca di indicare delle direzioni di ricerca, delle possibilità di pensiero da valorizzare e da esperire. Cerca cioè di fondare e di alimentare cognitivamente una speranza. Oggi si pongono, infatti, per Mauro Ceruti, la stringente necessità e la concreta possibilità di una modificazione radicale del paradigma culturale e scientifico che ha caratterizzato l’evoluzione dell’umanità sul pianeta e il passaggio da modelli lineari (lo sviluppo, il progresso, la crescita economica, la previsione geopolitica, ecc.) a modelli complessi d’interazione, di contaminazione, di interrelazione in ogni ambito della conoscenza e dell’antropologia politica.

Oggi, quindi, la coscienza di sé, prodotta dall’evoluzione e insieme potente e imprescindibile fattore evolutivo, si pone come snodo fondamentale per passare da modelli pre-scrittivi, che indicano programmi e direzioni di sviluppo unilineari e ripetitivi, a modelli pro-scrittivi, che aprano, invece, possibilità e progetti multilineari e complessi. Cioè che riaprano i giochi, invece che condannarsi a ripeterli. E questa nuova autocoscienza è oggi largamente disponibile e accessibile. Del resto, tutte le culture umane hanno avuto un’origine ecologica: sono state cioè modellate dalle conoscenze necessarie per sopravvivere o per evolversi ciascuna in un ambiente locale sempre più vasto e con margini di sovrapposizione e amalgama con ambienti e culture contigui. Ma esse sono, anche, tutte strutturalmente incompiute, perché rimandano a un universo di possibilità che rimane più vasto.

QUESTA STESSA incompiutezza della condizione umana, la riapre continuamente verso il futuro ed è radicata in un legame originario con la diversità, con la varietà, con la molteplicità. In questo senso, homo sapiens, nel corso della sua storia, non è nato umano: ha «imparato» a essere umano. In questo senso, ancora, possiamo dire che la condizione umana è una creazione continua e nuova, che si fa e si disfa, non secondo un percorso prestabilito e lineare che avanzi o regredisca, ma sfruttando l’occorrere di tappe, svolte, soglie che possono annullare le tendenze prevalenti in un dato momento e che possono far emergere nuove tendenze altrettanto compatibili con la ricchezza e la varietà del nostro patrimonio biologico e mentale.
Per questo oggi si può parlare di un’opportunità inedita dell’attuale condizione umana: è l’intera esperienza cognitiva della specie umana, nello spazio come nel tempo, che si rivela pertinente per il nostro presente e per il nostro futuro. Questo è il meccanismo evolutivo com-plesso, cioè intrecciato insieme, – conclude Ceruti – che fonda antropologicamente e politicamente un nuovo possibile e una nuova speranza. Le ricadute di tutto ciò sul piano dell’elaborazione e della progettualità politica e sociale sono del tutto evidenti. Bisognerebbe coglierle.