Un classico della letteratura, non solo «per l’infanzia» ma di assoluto fascino per tutte le età, è da più di un secolo Il libro della giungla, cui l’autore Rudyard Kipling (inglese cresciuto in India per motivi coloniali) fece seguire un Secondo libro della giungla. Quel titolo è anche divenuto poi sinonimo del migliore Walt Disney, i cui cartoni hanno dato corpo e ritmo a quei racconti, fino a immedesimarsi con essi nella cultura infantile.

ORA È UN ALTRO maestro dello spettacolo a farne una propria reinvenzione, Bob Wilson, che ne ha realizzato a Parigi una grande coproduzione europea, Jungle book appunto, guidata dal Theatre de la Ville (dove la creazione è nata) e comprendente i maggiori teatri europei, compresa la Pergola di Firenze, che la ospita con grande successo ancora stasera e domani.
Wilson è tra coloro che mezzo secolo fa hanno «riformato» la grammatica teatrale: la sua scomposizione del tempo e dello spazio in scena è ormai un elemento basico per le nuove generazioni che si avvicinano al teatro. Cresciuto e formatosi a New York negli anni Sessanta con le maggiori avanguardie di ogni arte, ha proprio «reinventato» modalità e tempi di rappresentazione. Basti pensare come il suo Einstein on the beach, presentato con Philip Glass alla Biennale veneziana del 1976, sia stato il prototipo da allora ineludibile per ogni opera musicale contemporanea (e sono in arrivo in Italia tra qualche settimana i suoi lavori coreografati con Lucinda Child che per l’occasione vengono «ripristinati»).

MA QUESTA volta il grande Bob reinventa addirittura il musical! Quelle diverse storie del Libro della giungla divengono episodi di uno scrosciante e rutilante «Broadway dream». Per questo lo spettacolo (scritto in inglese, parlato in francese e con i sottotitoli italiani) srotola i suoi numeri e i suoi personaggi contando su un piccolo ensemble orchestrale che suona dal vivo in buca, e su nove attori/danzatori reclutati a Parigi, che si passano le parti, quando serve, ma con alcune caratterizzazioni quasi commoventi, che rasentano la perfezione: come la pantera Bagheera o l’orso Baloo, o ancora la performer che dà corpo umano al piccolo Mowgly. Tutti cantano (anche da ottimi solisti), ballano e maliziosamente recitano, ed è bello, per chiunque abbia letto il libro di Kipling nell’infanzia, ritrovare la giusta connotazione di tutti i personaggi. Insieme al valore pedagogico e morale che quel racconto comporta, solo accresciuto dal fatto che sia qui cantato e danzato.
Wilson oltre alla regia ha curato scene e luci, tutte fantastiche. Nessuno meglio di lui padroneggia toni e sfumature di colore che guidano in quel territorio felice fatto di visioni infantili e di geometrie psichedeliche, seppur essenziali. I costumi, di grande e allusiva efficacia spettacolare, sono di Jacques Reynaud (che da giovane anche in Italia aveva portato il suo segno).

MA LA PARTNERSHIP più importante, essendo un musical, viene da Sierra e Bianca Casady, meglio note in campo musicale come le CocoRosie, che qui hanno scritto anche i testi dello spettacolo. Che comprende e mescola ogni tipo di suono ed emozione, per poter cantare, nel territorio di libertà che la Giungla concede, ogni possibile sfumatura di interesse, e carattere e sentimento, «umano». L’intelligenza nello spettacolo gode proprio della assoluta semplicità, che la rende libera da qualsiasi condizionamento esterno, che non siano fremiti e apprensioni interiori.
Solo alla fine, quando gli interpreti escono assieme a Bob Wilson a riscuotere il proprio trionfo dal pubblico, ci si rende conto di quanto il meccanismo di funzionamento fosse perfetto, nonostante l’apparente ingenuità. Una operazione da maestri, appunto.