A differenza del calcio, che fu da subito globale, il ciclismo ha tardato anni ad aprirsi al mondo. Julio Libonatti, il più grande calciatore rosarino di sempre prima che si diffondesse la leggenda del Trinche Carlovich, già aveva fatto grande il Torino prima ancora del grande Torino; i cugini avevano già risposto con l’ingaggio di Luisito Monti, brutto, sporco, cattivo ed efficace, anche se oggi non troverebbe posto col guardiolismo; dagli antipodi già piovevano i campioni, dunque, nel calcio, che per un azzurro di ciclismo era difficile anche solo trovare un posto in treno, per andare a correre all’estero.

L’unica eccezione, i trionfi di Bottecchia al Tour del France. E comunque la cosmopoli del ciclismo era ridotta a Italia, Francia e Belgio, e pure all’interno di questo triangolo era dura imporsi fuori casa. Per le prime esotiche irruzioni sulle strade bisogna aspettare i colombiani degli anni ’80, con Lucho Herrera in testa, spettacolari quanto arruffoni ed indisciplinati in gruppo (ora che hanno imparato anche la tattica corrono spesso da favoriti); e poi soprattutto russi, australiani e inglesi.

Eppure, se si ha la pazienza e la passione di seguire le interviste del prima e dopo-tappa, ci si accorge che l’italiano continua ad essere lingua comune in gruppo. Con un lieve accento della piana toscana, ad avere l’orecchio allenato. Il perché lo troviamo nel fazzoletto di terra che accoglie l’arrivo della tappa di oggi, tra la salita del San Baronto e Mastromarco. Il fatto è che, da tutto il mondo, i giovani di buone prospettive convergono tutti in questo spicchio di Toscana a correre da junior e apprendere i rudimenti del mestiere. Nibali, che viene da una terra come la Sicilia prima di lui avara di campioni, da anni ormai quando apre la finestra di casa vede il San Baronto.

Oggi si arriva sul traguardo di Fucecchio rotolandoci giù dall’Appennino pistoiese, terra natale di Fiorenzo Magni. Terzo Uomo tra Bartali e Coppi, diventerà Leone delle Fiandre per i suoi trionfi in Belgio, ma dopoguerra a casa sua non tornò più per via dei fattacci commessi aderendo a la fascismo repubblichino. Dopoguerra Alfredo Martini, gappista comunista nato lì accanto, perorò la causa del suo ritorno in gruppo; che, a differenza della città di Prato, bene o male lo riaccolse.

Sui pendii nei dintorni dell’arrivo, oggi, succede poco o nulla. Ciccone anima una fuga dall’inizio, che gli valle la maglia degli scalatori, ma i velocisti si organizzano e apparecchiano per i loro capi la volata. Il meglio lanciato, con la posizione classica che pare una pallottola, è Ewan. Quando Viviani capisce che la ruota di Gaviria è quella sbagliata (il colombiano si rialza), Ackermann ha già preso il centro della strada e trionfato a braccia alzate con la maglia di campione nazionale di Germania.