Poter viaggiare, stando fermi, ha sempre costituito per gli esseri umani un’enorme ricchezza. Di questi tempi, tale pratica antica, legata alla tradizione orale, alla letteratura, e alla fruizione artistica, si è trasformata in una vera e propria strategia di sopravvivenza. Il viaggio per come lo ricordavamo – parliamo di viaggio in quanto libera scelta, è chiaro, dettata dal piacere della scoperta e dalla ricerca della bellezza – da alcuni mesi ci è precluso. Chiunque oggi ci aiuti a ricordare, o a immaginare un viaggio, ci è caro, perché ci aiuta a vivere. A resistere. È quello che fanno con sapienza e generosità il poeta Franco Marcoaldi e lo storico dell’arte Tomaso Montanari, con il bel volume Cento luoghi di-versi. Viaggio in Italia (pp. 233, euro 19,90), uscito il mese scorso per Treccani, e già alla quarta ristampa.

IL SUCCESSO NON STUPISCE: questo libro-catalogo è un gioiello. Del gioiello ha la manifattura attenta, la raffinatezza del dettaglio, e, chiaramente, l’assoluto piacere per la vista. Sì, perché Marcoaldi e Montanari, insieme a chi li ha affiancati e pubblicati, hanno saputo costruire un vero oggetto d’arte, uno di quei libri che non solo si legge, ma che è un piacere sfogliare, tenere in bella mostra nella propria libreria, per consultarlo a più riprese, da soli o in compagnia di familiari e amici. Del gioiello, va detto, gli manca solo il prezzo che è, invece, volutamente accessibile, popolare, elemento di non poco conto, vista l’eccellente qualità della carta, la stampa nitida e vivida delle immagini, la rilegatura elegante. Se insistiamo sull’aspetto estetico, non è per un elogio dell’apparenza, ma per una questione di sostanza: confezionare un «bel libro» è un merito, soprattutto in un momento in cui – per ragioni di profitto, o di semplice sciatteria – di libri così ben fatti, a prezzi accessibili, se ne vedono ben pochi.

Ma andiamo ai contenuti: Cento luoghi di-versi si apre con una riflessione di Tomaso Montanari sull’«intimità collettiva», una sensazione, o meglio una qualità dell’emozione di chi viaggia, espressa da una viaggiatrice d’eccellenza, la filosofa francese Simone Weil, mentre nel 1937 soggiornava in Italia.
Attraversare le strade di Firenze l’aveva fatta sentire «a casa», ispirandole una riflessione sia sulla città, che sul proprio modo di attraversarla: «io non visito le città, lascio che entrino dentro di me, per osmosi».
In questa dichiarazione, Montanari rintraccia ed indica il vero spirito di Cento luoghi di-versi, un libro-percorso, un susseguirsi di città, quadri, poesie, piazze che il lettore può visitare, e da cui può lasciarsi visitare, in uno scambio vitale, osmotico, tra sé e la pagina.

LEGGERE Cento luoghi di-versi significa, infatti, stabilire un dialogo intimo, non solo con gli autori – che offrono questo viaggio senza prescrizioni e didascalismi – ma anche con poeti italiani e stranieri e con artisti di ogni sorta, i cui versi e immagini si alternano e sposano, di volta in volta, con una città o una regione italiana: così, Zanzotto e Tiepolo «raccontano» Venezia, Carlo Levi e Pinturicchio ci accompagnano ad Ancona, Alfonso Gatto e Carlo Carrà ci scortano in Versilia, Antonella Anedda e Tommaso Bonaventura ci fanno strada fra gli acquedotti romani.

A tenere insieme tanta e tale bellezza concorre in maniera decisiva il poemetto introduttivo di Franco Marcoaldi, dal titolo «Arte e Paesaggio. Un’unica bellezza», in cui il poeta concentra e prefigura quanto andremo a leggere e ad ammirare nelle pagine del volume. Sfogliando Cento luoghi di-versi le associazioni suggerite da Marcoaldi prendono forma e vita, non solo nello splendore di quadri, distici o vedute, ma anche nella postura etico-estetica che il poeta ci esorta a prendere nei confronti di ciò che ci circonda: «Albero o quadro, bassorilievo/ o colle, torrente o capitello/ medesima la cura e la premura/ che dovremmo avere».

MARCOALDI NE È CERTO, «chi non sa apprezzare un albero,/ non può apprezzare un quadro»: versi semplici, piani, eppure fulminanti, che andrebbero inscritti – come motto – all’entrata di ogni accademia, università, istituzione.
La visione che Marcoaldi ci propone è, infatti, tanto poetica quanto politica: «Resta che dove non c’è il Bello/ non c’è neppure il Bene/ e dove il Brutto alligna/ cresce di conseguenza il Male». Come si fa a non essere d’accordo? Il punto è che non basta. Come lo stesso Marcoaldi suggerisce, se questo tempo sospeso può servirci a qualcosa è a fare pratica attenta e quotidiana di ammirazione: imparare a vedere il bello e il bene, a riconoscerli nell’albero e nel quadro, considerando con lo stesso occhio vivo e commosso paesaggi e arte, montagne e monumenti.

NON SI TRATTA di buoni propositi da abbandonare non appena i divieti cesseranno, e la girandola degli spostamenti riprenderà, più veloce di prima, ma di approfittare del momento, della pausa imposta, per provare ad esercitare un nuovo sguardo.
Se è vero che, come Seneca scriveva all’amico Lucilio, «Animum debes mutare, non caelum» – è necessario un mutamento dell’anima, non del cielo sotto cui ci si muove. Sotto il cielo fermo di questi giorni difficili, leggere Cento luoghi di-versi non ci indicherà tragitti o mete, ma ci aiuterà a cambiare prospettiva. A mutare, se lo vorremo, il nostro animo.