Lo sguardo smarrito di Chet Baker, la magrezza incombente, le rughe e quegli zigomi divorati dalla furia del tempo e dagli eccessi di una vita violenta e tormentata. Ma è un attimo: quando imbraccia la tromba è un tripudio di note portentose, evocative e quel disordine mentale si riappropria di una musica viva, emozionante dando un ordine improvviso a una mente devastata. Baker e la sua esistenza, gli incontri e i picchi geniali concentrati nei centoventi minuti che vanno a comporre Tempo di Chet. La versione di Chet Baker, uno spettacolo scritto da Leo Muscato (anche regista) e Laura Perini, prodotto dal teatro Stabile di Bolzano e accompagnato dalla tromba e dal flicorno di Paolo Fresu, dal pianoforte di Dino Rubino e dal contrabbasso di Marco Bardoscia.

AMERICA ANNI ’50: siamo nei club dove ogni sera si accendono infuocati live set in cui si alternano figure leggendarie del jazz: Miles Davis, Charlie Parker, Gerry Mulligan. Nella finzione teatrale – fra insegne luminose e banconi di bar (opera dello scenografo Andrea Belli) Chet (interpretato da Alessandro Averone) si muove dinoccolato e introduce lo spettatore al racconto della sua vita. Uno dietro l’altro si aggiungono i personaggi che hanno fatto parte della sua storia, un coro multiforme composto dagli attori Rufin Doh, Paolo Li Volsi, Debora Mancini, Daniele Marmi, Mauro Parrinello, Graziano Piazza, Laura Pozone. Assistiamo al crollo del ’29, al dialogo con il padre che annega frustrazioni fra bottiglie di alcol e perenni conflitti con la moglie. Chet fugge giovanissimo dalla nativa Yale (Oklahoma) e lo ritroviamo nel 1952 alla storica audizione al Tiffany Club, in cui Charlie Parker intravede il genio di Baker e se lo porta in tour. E ancora il rapporto complesso con Gerry Mulligan con cui diede vita a uno straordinario quartetto che recuperava quella polifonia che il jazz aveva lasciato cadere nel periodo swing.

PER ARRIVARE al drammatico confronto con i genitori del suo pianista Dick Twardzick, morto per overdose e la successiva fuga in Europa. Gli anni italiani della dolce vita – chi lo ricorda in una scena di un musicarello al fianco di Mina e Celentano? – fino al drammatico epilogo il 13 ottobre dal 1988 quando volò giù dalla finestra di un albergo ad Amsterdam.
Tempo di Chet è un alternarsi di musica e parole, dove gli attori provano a rendere i rimi concitati del jazz attraverso dialoghi dai toni accesi e a tratti ridondanti, ma che si stempera grazie alla bravura del trio che dalla pedana posta al centro della scena ci riporta nel suo mondo, dove sono le note a rendere vivo l’artista Chet. Il soffiato oscuro e prezioso di Fresu su ballad struggenti come Everything Happens to Me, la malinconia notturna di My Funny Valentine, a comporre una colonna sonora a cui il musicista sardo aggiunge brani scritti per l’occasione, in equilibrio perfetto con il contrabbasso di Bardoscia e il piano di Rubino. Tempo di Chet – dopo le repliche all’Auditorium di Roma, prosegue il tour: oggi a Chiasso, poi a Torino (28 gennaio- 2 febbraio), Perugia (4-7 febbraio), Pavullo (11), Russi (12).