Giunta al suo quarto libro, Claudia Durastanti forza con La straniera (La Nave di Teseo, pp. 285, euro 18) l’ampiezza tra memoria e immaginazione facendo saltare tutte le etichette – da romanzo ad autobiografia, da saggio a diario, – eppure evitando la forzatura del genere. Il materiale dentro cui ossessivamente lavora l’autrice è lo spazio inteso in ogni sua possibile forma di sguardo. La straniera mescola le vicende della sua infanzia con quelle dei suoi genitori, della sua vita ricordata e fatta di letture e di viaggi. Parla dell’amore, continuo e intenso, che attraversa la solitudine e lambisce le prime amicizie – confuse e al contempo vivide.

Claudia Durastanti legge i suoi giorni trascorsi e nello stesso tempo riprende gli sguardi sui suoi genitori e sui suoi personali gesti, mischiandoli come un mazzo di carte perfette e precise. La straniera è un movimento a tratti ambiguo e fortemente emotivo che trafigge l’io narrante come la storia stessa, straniera sembra essere così la voce di una giovane donna catapultata in un perpetuo andirivieni tra Brooklyn e la Basilicata, tra Londra e ancora l’Italia. Un oscillare visto con distanza e riletto come frontale alla superficie liscia di un vetro che di volta in volta si fa specchio.
Confonde, talvolta disturba l’estraneità alla propria stessa vicenda che sembra mettere in scena come in un teatro della memoria Claudia Durastanti, sebbene non sia altro che il segno, la qualità rara e scintillante di una scrittura che contiene dentro di sé sia la forza del passato che una straordinaria capacità di unire alla memoria lo spazio. È un libro che non chiede partecipazione, non impone il peso del già dato, ma con un’alternanza di estrema durezza e infinita dolcezza restituisce un presente che è valore imprescindibile. Tutt’altro che romanzo di formazione La straniera non archivia i ricordi bensì li identifica e li amalgama all’occasione.

Durastanti scrive con la precisione che solo l’urgenza impone, evitando inutili acrobazie e non soffermandosi mai troppo sulla pagina. La straniera è fatto di passi leggeri e di una razionalità che nulla ha a che fare con il nichilismo. È invece il sospiro di chi ogni giorno l’ha scampata, lo sguardo lucido di chi non si sente ancora sopravvissuta a qualcuno o a qualcosa. Il libro evita l’assurdo contrasto con l’epica dei genitori, se ne libera in fretta dando all’indecisione di ciò che è vero o che è falso il ruolo centrale e generativo di un discorso aperto, impossibilitato a soffermarsi su irraggiungibili e malinconiche nostalgie. La straniera resta distaccata dal passato che pure conosce e di cui conserva varie ferite; offre la visione di un tempo nella sua apocalisse immatura fatta anche di improvvisi scoppi di risa.