Bogotà richiama l’ambasciatore e Caracas risponde con la stessa moneta. La nuova crisi fra Colombia e Venezuela è scoppiata per la chiusura della frontiera, decisa una settimana fa dal presidente venezuelano Nicolas Maduro e approvata dal parlamento. I due paesi condividono un tratto di frontiera lungo 2.219 km, e in sei municipi dello stato Tachira Maduro ha decretato lo stato d’emergenza, contemplato dalla Costituzione in casi eccezionali. “Un laccio emostatico per fermare l’emorragia”, ha sintetizzato Ernesto Villegas, una delle principali figure del chavismo. L’emorragia è provocata dal contrabbando di alimenti e carburanti, sussidiati dal governo, che sta dissanguando l’economia del paese.

Alcune cifre quantificano le proporzioni del fenomeno. Il primo giorno, nei sei municipi interessati dal provvedimento sono state requisite 56 tonnellate di prodotti. Dal 2014 a oggi, le autorità hanno recuperato oltre 20.000 tonnellate di articoli di prima necessità. E ogni giorno si scoprono depositi clandestini di pasta o medicine lasciate scadere pur di provocare la collera della popolazione. Si calcola che oltre il 40% dei beni sussidiati finisca nel contrabbando in Colombia . Particolarmente fiorente quello della benzina, dato che in Venezuela fare il pieno a un’automobile di grosso calibro costa meno di un dollaro. Finora, al confine, sono stati recuperati oltre 40 milioni di litri di carburante.

La cittadina di Cucuta, dal lato colombiano, è un primo grande punto di smercio illegale. Lì, tra una popolazione senza risorse, abbandonata dallo stato, prospera ogni genere di traffico. Come dichiarano gli stessi commercianti, l’80% dei prodotti che vendono proviene dal contrabbando in Venezuela. Molto ben organizzato è anche il mercato nero del dollaro e dell’euro: transazioni che avvengono in diversi uffici di cambio. In Venezuela, al mercato nero, un dollaro può valere oltre 700 bolivar (al cambio ufficiale il rapporto e di circa 1 a 6). Dolar Today, un sito basato a Miami e gestito da banchieri venezuelani fuggiti in Nordamerica con i soldi dei contribuenti, s’incarica di registrare e influenzare le fluttuazioni. A Cucuta, sono particolarmente richieste le banconote da 100 bolivar, che vengono pagate almeno 250 bolivar: perché sono al centro della cosiddetta Operazione a tre zampe.

Durante la sua trasmissione televisiva settimanale, il presidente del Parlamento, Diosdado Cabello, ha spiegato come funziona questo triplice attacco alla moneta venezuelana: il primo biglietto da 100 bolivar viene smerciato a Bogotà, dove vale 50 volte di più che a Cucuta. La seconda banconota da 100 bolivar torna in Venezuela, dove serve per comprare benzina e alimenti a prezzi calmierati che saranno venduti a caro prezzo, dentro e fuori il paese. Il terzo biglietto viene custodito dalle mafie nordamericane e colombiane, che se lo tengono per quattro o cinque mesi; il tempo di provocare scarsità di biglietti da 100 e obbligare lo stato a stampare altra valuta. E allora, ecco che vengono di nuovo immesse sul mercato le banconote da 100, per perturbare l’economia.

Per la riapertura della frontiera, Maduro ha chiesto al suo omologo colombiano Manuel Santos il rispetto di alcune condizioni, basate sulla lotta al contrabbando e al paramilitarismo, particolarmente attivo lungo la frontiera. Il confine è stato chiuso dopo l’attacco a tre militari e a un civile venezuelani, ancora in terapia intensiva. Da allora, è stato scoperto un grosso deposito sotterraneo contenente esplosivi, soldi e divise militari, attrezzato per nascondere sequestrati. E’ stata smantellata una banda dedita alla tratta delle donne e un giro di prostituzione minorile che interessava circa 500 ragazze. Da anni, il governo venezuelano denuncia la presenza di paramilitari sul suo territorio e il loro impiego a fini destabilizzanti. Aumentano anche gli omicidi mirati di politici e militari chavisti, apparentemente compiuti dalla criminalità comune. L’assassinio di un’attivista di opposizione, uccisa e fatta a pezzi da alcuni membri della sua stessa compagine per un traffico di dollari, sta alzando il velo sul sottobosco delle “guarimbas”, le proteste violente contro il governo dell’anno scorso. Uno degli imputati ha confessato anche un piano per uccidere la figlia di Cabello.

Ad alimentare la tensione è intervenuto l’ex presidente colombiano Alvaro Uribe, grande finanziatore dei paramilitari e delle esecuzioni extragiudiziarie, per l’occasione in veste di “democratico”, schierato contro la “dittatura castro-madurista”. E anche il suo ex ministro della Difesa, Manuel Santos, dimentico delle politiche neoliberiste e guerrafondaie che spingono a migrare verso il Venezuela le popolazioni colombiane senza protezione, ha accusato Maduro di aver “deportato” oltre 1.000 suoi concittadini in situazione irregolare. In Venezuela abitano oltre 5,6 milioni di colombiani, che usufruiscono delle politiche sociali garantite dallo stato. In quella terra di nessuno a ridosso della frontiera con la Colombia, ormai senza controllo, era attivo anche uno dei piani sociali (le “misiones”) rivolti dal chavismo agli strati popolari. “Abbiamo insegnato a leggere e a scrivere a oltre 200.000 colombiani, perché in Colombia l’educazione è privata e i poveri non hanno diritto allo studio”, ha detto Maduro, e ha chiesto al popolo colombiano di aiutarlo. Ieri, si è svolta una grande manifestazione di sostegno al governo socialista; aperta dagli operai, dai “comuneros”, dalle organizzazioni indigene e dalle donne. Giovedì, Maduro ha coordinato un incontro con i movimenti delle donne e le organizzazioni femministe: “Siete voi la vera forza – ha detto – io metto solo in evidenza alcuni punti, faccio alcune proposte”. Alle donne impegnate sul territorio e nella gestione delle comuni, il compito di far fronte alla guerra economica, organizzando dal basso la produzione e la distribuzione delle risorse. Ma il clima si scalda, in vista delle legislative del prossimo 6 dicembre.