Hitchcock, M.Night Shyamalan, George Romero e Cormac McCarthy sono solo alcuni dei nomi evocati nelle recensioni entusiaste che hanno accolto l’uscita di A Quiet Place, il film di John Krasinski che, dopo l’esordio, il mese scorso, a SXSW è arrivato nelle sale Usa battendo Spielberg al primo posto del botteghino nello scorso week end. Quest’horror acustico, diretto dall’attore di The Office (già dietro alla macchina da presa di due piccoli film indipendenti) conferma la sete per il genere che il pubblico (americano ma non solo) sembra manifestare da un anno a questa parte, e cioè dall’uscita di Get Out! Dopo il successo del film di Jordan Peele (Universal), Split (ancora Universal), It (WB) e The Shape of Water (Fox) hanno ricompattato il rapporto tra il cinema di paura e gli studios. A Quiet Place, il primo successo Paramount da mesi a questa parte, continua la love story.

Krasinski (che è anche interprete, al fianco della moglie Emily Blunt) apre in un supermarket che ha l’aria devastata come dopo un’invasione di zombie. Un bambino con il cappello di lana corre tra gli scaffali. Silenzioso come un’ombra, ha i piedi scalzi. Come lui la donna (Blunt) che rovista con cautela una mensola piena di medicine, e la bimba bionda (Millicent Simmonds, la giovane attrice Wonderstruck) che «facendo la spesa» tra il poco rimasto, evita accuratamente i pacchetti di patatine ancora inspiegabilmente ordinati sullo scaffale.

Tra gli Abbott -mamma, papà (Krasinski) e tre bambini-non corre una parola anche quando, usciti dal negozio, si avviano, in fila uno dopo l’altro, nella foresta. Il perché del loro silenzio sarà spiegato in una scena violenta e improvvisa, che si verifica subito dopo. La Terra è stata infatti invasa da una razza di creature extraterrestri disegnate come aracnidi con la testa alla Alien che si apre come un malefico bocciolo di rosa. Completamente ciechi, i mostri hanno però un udito sensibilissimo, da cui dipendono per procacciarsi il cibo – meglio ancora se è carne umana. Nella luce dorata di un autunno di upstate New York, abbigliati come una puntata di Survivor con costumi di Ralph Lauren, in una fattoria da cartolina, gli Abbott si sono pazientemente costruiti un’esistenza a prova di mostro.

Un idillio, il loro, stridente di tensione continua – che è la parte migliore del film. Tra loro comunicano con il linguaggio dei segni (imparato prima dell’invasione, perché la bimba è sorda). Il cibo è cucinato sotto terra per evitare odori, le assi del pavimento segnate in modo da appoggiare i piedi nei punti in cui non scricchiolano. In cantina, papà ha un laboratorio dove cerca invano di raggiungere altri sopravvissuti alla piaga e sono allestite le misure per accogliere il neonato che sua moglie sta aspettando. Un chiodo che spunta dal gradino, un areoplanino di plastica, un’anta di metallo che sbatte…diventano armi mortali in un assedio (come quello di Signs) si stringe sempre più vicino alla famiglia.