Leggendo come ne parla il vissuto personale deve essere una fonte di ispirazione inesauribile per Julie Delpy. Figlia di attori protagonisti della scena sperimentale francese negli anni Sessanta, rigorosamente senza un soldo – in un’intervista uscita sul Guardian raccontava che la prima casa con bagno risale ai suoi otto anni, e che da piccolina in tavola per risparmiare c’era sempre tanta pastasciutta – Marie Pillet e Albert Delpy, quest’ultimo tra i protagonisti, nel ruolo di suo padre, e non troppo lontano dalla realtà, in 2 giorni a New York. Nata in Francia, un compagno americano, il compositore Marc Streitenfeld col quale ha avuto un bimbo, Leo, oggi vive a Los Angeles ma da Hollywood si sente distante – eppure ha avuto una candidatura all’Oscar per la migliore sceneggiatura con Before the SunsetPrima del tramonto. Ma tant’è. In passato è stata un’icona di Kieslowski (Tre colori …), prima nel suo curriculum troviamo Godard (King Lear) e Carax (Rosso sangue). Poi c’è stato l’incontro con Richard Linklater, e con Celine, la sua svagatezza lunare e il senso dell’umorismo di chi sa prendersi in giro si accordavano magicamente al personaggio che interpreta in Prima dell’alba. Lei e Jess, Ethan Hawke, uno studente americano si incontrano sul treno per Vienna. La lunga notte passata dai due chiacchierando nelle strade della città austriaca, in attesa del nuovo giorno che li separerà, si srotola nelle traiettorie (molto nouvelle vague) di un desiderio sospeso, mai «consumato», quel sussulto innocente e bellissimo che fa saltare il cuore. Negli anni Celine e Jess si ritroveranno in occasioni diverse, e ormai cresciuti – la trilogia di Linklater, Prima del tramonto e l’ultimo Before Midnight – e quel loro sfiorarsi, lieve e intenso, sconfiggerà il tempo, gli accadimenti della vita, la distanza, ogni volta impalpabile, ogni volta intatto.

Nonostante la complicità creativa con Linkalater per il suo esordio cinematografico non è però Celine il riferimento di Delpy. Non solo almeno, anche se da quell’esperienza l’attrice e regista ha preso sicuramente la voglia di espandere nel tempo i suoi personaggi e le sue storie. La protagonista di 2 giorni a New York, sequel di 2 giorni a Parigi, somiglia in effetti più alla stessa Delpy: Marion, fotografa, è una giovane donna francese che ha lasciato l’Europa per vivere in America. Nel primo film si innamorava di un americano, ma la distanza culturale tra i due creava infinite incomprensioni. Qui Marion si è separata dal vecchio amore, vive col loro figlioletto, e un nuovo compagno african american, Mingus, Chris Rock, anche lui con una figlia nata da una storia precedente, autore di un programma di successo alla radio, che sopporta con amorevole calma le sue isterie e i suoi continui tentennamenti. La situazione diviene insostenibile quando a New York sbarcano i parenti di Marion, il padre, molto stravagante, la sorella che pensa solo al sesso, e il fidanzato di lei che tra l’altro è un ex di Marion. Intorno ci sono incontri, casualità, figure emblematiche come l’amico di Mingus che ora lavora per Obama, il suo grande idolo, di cui tiene una sagoma cartonata in studio alla quale confida le sue disperazioni. E poi le liti sulla vita insieme, i figli, il fantasma dei quarant’anni, che fa venire l’ansia a Marion, e quella differenza culturale che torna … Molti interni, meno visioni di città, ma la geografia mai come in questo caso è uno stato dell’animo.

Il critico americano Roger Ebert, aveva molto amato il film (lo fa uscire in Italia la Ubu) avvicinando l’autrice a Woody Allen. Il paragone è il primo che viene in mente per il tono da commedia nevrotica (zona Annie Hall) e molto metropolitana. Il personaggio di Delpy che è abbastanza antipatico, è pieno di idiosincrasie verso il mondo circostante, per niente diplomatica, ruvida e soprattutto molto poco politicamente corretta. Rivendica quello che è, e la sua prima persona, e cerca momenti di fuga come nel surreale incontro con l’acquirente della sua anima, il Renaissance Man Vincent Gallo. Al tempo stesso l’autrice guarda in altre direzioni, prima tra tutte il divario tra Europa e America, motivo ricorrente di questo suo diario che oscilla tra i due mondi con una libertà (pure sopra le righe) permessa proprio dal sentimento di reciproca distanza. Dunque eccoci nell’imbarazzo di scoprire un orgasmo nel proprio bagno, o in una lite tra sorelle che finisce a schiaffi… L’inizio e la fine sono come quelli della fiaba: «c’era una volta». Ma la voce di Delpy ci avverte che nelle fiabe «dopo il lieto fine inizia la vita, più dura da gestire di qualsiasi drago». Fragilità di uno stare al mondo sfidato con il sorriso.