Fra Enrico Della Torre e Valdi Spagnulo passa una generazione (del 1931 il primo, del 1961 il secondo) ma un filo sottile tiene insieme il dialogo fra il pittore cremonese e lo scultore pugliese (ma milanese d’azione): è infatti una linea di sensibilità «lombarda» a consentire il dialogo proposto dalla mostra Enrico Della Torre-Valdi Spagnulo. Ritmi visibili, presso lo Studio Masiero di Milano (fino al 29 gennaio). Un’esposizione che si mette sotto il segno della leggerezza: da una parte la scultura che si trasforma in struttura di sola linea rinunciando al volume solido e compatto; dall’altra la pittura che con un velo di colore acquista risalto plastico, fondandosi sui ritmi della geometria. Per entrambi, osserva Kevin Mc Manus nel breve testo di presentazione, «un linguaggio misurato e concentrato, atto a dire tanto con il poco». «È proprio nel silenzio – prosegue – nella pausa, nell’intervallo che il ritmo dello spazio può rendersi manifesto».

AD ACCOMUNARE le due esperienze, oltretutto, è un debito nei confronti del collage, e dell’approccio mentale al problema dell’immagine dato dall’assemblaggio di sagome e materiali. Per Della Torre, in particolare, il passaggio cruciale avvenne nei primi anni Ottanta secondo la lezione del papier decoupée matissiano: frammenti di carte colorate in contrappunto con pastello e campiture piatte lo avevano allontanato dal mondo surreale e notturno delle fantasmatiche figure acquatiche degli anni Settanta, in favore di una compattezza architettonica. Eppure non aveva dimenticato i toni e gli accordi luminosi del mondo naturale: le terre si armonizzano con i verdi e gli azzurri, mantenendo un pregnante significato analogico, tenendo salda nel pittore la memoria del paesaggio della bassa cremonese natia e delle cime valtellinesi del suo rifugio di riposo. I formati panoramici, lunghi e stretti, sono rimasti poi quelli di una pittura astratta concepita come un paesaggio, seppure a un grado di sofisticazione più elevato.

ESORDIENTE negli anni Ottanta, Valdi Spagnulo nasce invece come pittore, ma presto scopre che è la scultura la sua vera vocazione: si rende conto che più del campo pittorico è il concetto di telaio a interessarlo, e manipolando l’archetipo della cornice comincia progressivamente ad alleggerire la scultura per trasformarla in struttura. Egli lavora il metallo a freddo, piegandolo a mano, torcendolo in modo da dare un guizzo di vita alla materia. Della pittura ha conservato il senso cromatico della composizione, assemblando acciaio e plexiglass bianco o colorato, con ulteriori possibilità combinatorie; e proprio attraverso queste ultime egli racconta uno spazio possibile, virtuale, un perimetro che può essere percorso dallo sguardo come dall’aria e ricorda come la scultura possa essere un disegno tridimensionale che si muove nello spazio. È una tensione poetica ad animare questi due artisti, e che gli permette di intrappolare nelle loro opere una scaglia di terra o un lembo di cielo.