A più di venticinque anni di distanza dall’edizione originale francese, la casa editrice Orthotes pubblica Cose dette. Verso una sociologia riflessiva (traduzione e cura di Massimo Cerulo, pp. 240, euro 17) di Pierre Bourdieu. Si tratta di una raccolta di interventi, in massima parte orali (interviste e conferenze) attraverso cui il sociologo francese spiega il senso del lavoro svolto fino al 1987. Che si sottolinei l’oralità che li caratterizza, è l’autore a chiederlo nella Prefazione quando, nel chiuderla, scrive: «Le incertezze e le imprecisioni dei discorsi orali deliberatamente imprudenti riportati in questo volume hanno così per contropartita il tremolio della voce che è il segno dei rischi condivisi in ogni scambio generoso».

Libro di autobiografia intellettuale, Cose dette si va ad affiancare agli altri testi di questo tipo – Risposte. Per un’antropologia riflessiva e Ragioni pratiche. Sulla teoria dell’azione – per costituire una sorta di «trilogia» introduttiva al pensiero di Bourdieu. Ultimo in ordine di apparizione sul mercato librario italiano rispetto a questi due, in realtà Cose dette li precede in ordine cronologico, così, il lettore curioso e interessato ad avvicinarsi a uno dei dispositivi sociologici più complessi e potenti della seconda metà del XX secolo, ha da cominciare da qui e poi, se non scoraggiato, continuare con Risposte e Ragioni pratiche.

Un racconto avvincente

In particolare, sarà con Fieldwork in Philosophy, l’intervista del 1985 con cui si apre la prima parte del libro e tra i cui autori compare anche Axel Honneth – attuale direttore dell’Istituto per la Ricerca Sociale di Francoforte, a simbolo del passaggio di consegna dal decadente paradigma sociologico tedesco della Scuola francofortiana a quello ascendente di matrice francese (Boudon e Touraine, solo per fare qualche nome) – che il lettore inizierà a prendere confidenza con la formazione filosofica di Bourdieu, con l’ambiente culturale in cui era immerso e con le ragioni che lo hanno spinto a passare alla sociologia. Il racconto degli anni di formazione all’École Normale nella Parigi del Secondo dopoguerra è particolarmente avvincente, l’intensità e la partecipazione con cui Bourdieu lo narra, sono paragonabili solo a quelle con cui a sua volta Gilles Deleuze raccontava la stessa esperienza a Claire Parnet in Conversazioni.

Ora, è proprio Deleuze a fornire una via d’accesso a Cose dette così da consentirci di isolare dal suo insieme eterogeneo – a chi non sia uno studioso di Bourdieu non può che sfuggire quella coerenza che è assicurata al libro dalla conoscenza della sua opera – un unico intervento per sperimentarne le conseguenze. In una strana nota della monografia dedicata a Michel Foucault, Deleuze rileva la necessità di un confronto tra il pensiero del filosofo e «la sociologia delle “strategie” di Pierre Bourdieu» per «vedere in che senso quest’ultima costituisce una micro-sociologia». La stranezza di questa nota dipende da diversi fattori: in primo luogo Deleuze, se non in questa occasione, non ha mai dimostrato interesse per il sociologo francese, quindi, si può sostenere con una certa sicurezza che non conosca bene il suo pensiero.

Da questa «ignoranza» derivano gli altri due fattori che rendono sempre più strana la sua annotazione: prima di tutto, Bourdieu non si è mai lasciato sfuggire occasione per prendere le distanze dallo strutturalismo vuoto di storicità di Foucault; poi, non avrebbe mai «etichettato» la sua sociologia come una micro-sociologia, dal momento che in essa inseriva l’interazionismo simbolico di Erving Goffman e l’etnometodologia di Harold Garfinkel, correnti di pensiero che, a suo parere, facevano regredire la teoria sociale al coscienzialismo degli agenti. Eppure, questo cumulo di errori consente a Deleuze, che è sempre Deleuze, di cogliere uno dei concetti più importanti della sociologia di Bourdieu, quello di strategie a cui, non a caso, in Cose dette è dedicata una delle interviste più importanti, Dalla regola alle strategie del marzo 1985.

Oltre lo strutturalismo

Alle strategie Bourdieu arriva attraverso i suoi studi antropologici svolti sul campo in Algeria (Cabilia) e in Francia (la nativa regione del Béarn), e con esse rompe con il modello strutturalista sostenuto da Claude Lévi-Strauss. Lì dove quest’ultimo vedeva la nascita del vincolo coniugale come il frutto di una mera obbedienza meccanica alle regole vigenti nelle società senza scrittura, Bourdieu, al contrario, riscontrava essere il risultato creativo di complesse strategie matrimoniali elaborate dai gruppi interessati al raggiungimento del matrimonio più conveniente. Questo passaggio dalla meccanicità delle regole alla creatività delle strategie consentiva a Bourdieu di reintrodurre nella teoria sociale la capacità inventiva degli agenti i quali erano stati ridotti dallo strutturalismo lévi-straussiano a semplici marionette.

L’intervista Dalla regola alle strategie, allora, può diventare una sorta di bussola in cui orientarsi all’interno dell’eterogeneità di percorsi contenuti in Cose dette, perché, da un lato rimanda al rapporto per Bourdieu decisivo con Lévi-Strauss (tema che attraversa l’intero volume) e dall’altro perché consente di capire meglio, perché mentre ne parla ne fa la teoria, il senso di studi antropologici come La terra e le strategie matrimoniali e Strategie matrimoniali e riproduzione sociali contenuti in Il senso pratico.

La nota deleuziana, però, permette di raggiungere anche un altro obiettivo, diverso da quello di fornirci una semplice suggestione per accedere a Cose dette. Nel momento in cui Deleuze le mette sullo stesso piano di quelle foucaultiane è come se ci invitasse a cogliere, delle strategie concepite dal sociologo, non tanto la dimensione etnologica, piuttosto quella politica, il fatto cioè che in quanto «risultato dei rapporti di forza», come dice Bourdieu, sono inevitabilmente dei rapporti di potere. E le strategie hanno sempre servito a dare battaglia.