«Abbiamo una sola scelta, resistere per ottenere l’indipendenza e la sovranità per il nostro paese. Siamo disposti a lottare fino alla morte per questo». A parlare così è Badi Hamudi Najem, comandante del VI reggimentodell’esercito della Repubblica araba saharawi democratica (Rasd), di stanza nell’area di Mahbes, territori liberati dello stato saharawi.

SIAMO A RIDOSSO DEL MURO di 2.790 chilometri che delimita il confine dell’occupazione marocchina. Soldato di lungo corso (partecipò giovanissimo al primo conflitto di metà anni Settanta), Najem incontra i media condotti fin qui dal Fronte Polisario. È appena trascorsa una giornata di scontri missilistici ai quali i giornalisti presenti hanno avuto la ventura di assistere, a poco distanza dalla tenda del campo base dove lo abbiamo incontrato.

Si sono concentrati in questa zona, racconta, circa l’80% dei combattimenti avvenuti dalla ripresa delle ostilità, il 13 novembre 2020, dopo la palese violazione degli accordi sul cessate il fuoco da parte marocchina nella zona di El Guerguerat. «Confidiamo nelle nostre capacità e – assicura il militare – conosciamo bene il territorio, siamo figli del deserto. Inoltre siamo contenti che i nostri soldati, inclusi i giovani che hanno aderito convintamente, si stiano facendo valere sul fronte di guerra. E sappiamo bene chi è il nemico, conosciamo il Marocco e chi si cela dietro di esso, Stati uniti, Francia, Israele e gli Emirati arabi».

 

 

GLI SCONTRI TRA LE DUE PARTI sono quotidiani, con conseguenti feriti e vittime. Mentre non è dato sapere con esattezza quante siano le perdite da parte marocchina, sul versante saharawi gli ultimi due decessi sono avvenuti lo scorso 16 ottobre, portando il totale a circa 20 vittime. I due militari sono rimasti vittime dell’attacco di un drone nella zona di Tifariti. Lo scorso aprile stessa sorte era toccata al maggiore Addah Al-Bendir e la cosa acconta nella sua drammaticità l’abissale sproporzione negli armamenti fra i due schieramenti: a fronte dei fucili e delle vecchie batterie di missili di cui dispone l’Esercito di liberazione popolare saharawi (Elps), il Marocco può controllare lo spazio di guerra antistante il muro con radar che operano in un raggio di 60 km e droni dotati di un’autonomia di 15 km.

 

 

UN’IDEA PIÙ PRECISA dell’escalation militare in atto la fornisce anche la notizia, diffusa dal sito sudafricano Defenceweb, della consegna a Rabat del primo lotto di droni Bayraktar TB2 ordinati in Turchia.

Dei combattimenti che oltre Mahbes e Tifariti riguardano i dintorni di Bir Lehlu, Buer Tikisit e Mheiriz, fanno le spese anche i civili. Tre giorni fa nel quarto distretto di Mheiriz, un raid aereo ha distrutto un’automobile e ferito due persone intente a rifornirsi di acqua a un pozzo.

«GUERRA A BASSA INTENSITÀ», secondo i canoni internazionali, che ha esiti drammatici anche nei campi profughi situati in territorio algerino, nei dintorni di Tindouf: a seguito della guerra la presenza della cooperazione internazionale e dei relativi aiuti umanitari ha visto una consistente diminuzione, che si è andata ad innestare su una evidente difficoltà generata dal precedente arrivo della pandemia, nella primavera del 2020, con il blocco di fatto dei progetti di cooperazione dell’associazionismo di base internazionale, inclusi quelli in capo all’Italia che storicamente gioca un ruolo di livello, grazie a una miriade di progetti di assistenza e sviluppo in tutti gli accampamenti.

Ad aggravare la situazione si aggiunge il fenomeno dei rifugiati di ritorno, ovvero delle persone che fuggono dalla zona dei territori liberati, teatro degli scontri armati: si tratta di migliaia di persone che hanno in parte trovato rifugio nella vicina Mauritania, ma che per lo più si sono dirette verso i campi, in particolar modo nelle wilayas di Auserd, Smara e Bojdour, acuendo ancor più il bisogno di acqua, cibo e accoglienza in una situazione già compromessa.

UN’EMERGENZA nell’emergenza sulla quale il leader del Fronte Polisario Brahim Ghali ha richiamato l’attenzione sia nella Giornata dell’unità nazionale saharawi il 12 ottobre a Dakhla, sia nella conferenza stampa tenuta a a Rabuni quattro giorni dopo, in cui ha sollecitato il principale partner politico di riferimento, il governo spagnolo di Pedro Sánchez: «Siamo in guerra e continueremo a combattere, Madrid si assuma le sue responsabilità».