Stravincono i socialisti, per i democristiani è un’autentica Caporetto, ma esce a pezzi anche la Linke incapace di superare la soglia di sbarramento al Parlamento del 5%.
Il giorno dopo le elezioni nel Saarland emerge la dimensione della clamorosa rivoluzione politica scoppiata nelle urne del piccolo Land carbonifero ai confini con la Francia.
Un autentico terremoto elettorale in grado di seppellire a livello locale la Grande coalizione guidata dal governatore cristiano-democratico, Tobias Hans, come di premiare sul piano nazionale il cancelliere Olaf Scholz, uscito super-rafforzato dal primo test elettorale come capo di governo. L’esatto contrario del neo-segretario Cdu, Friedrich Merz, leader dell’opposizione al Bundestag: per lui la conta delle schede si è tradotta in una batosta storica, nonostante la débacle gli sia imputabile fino a un certo punto, visto che è entrato in carica il 31 gennaio.

NUMERI FINALI alla mano, la Spd incarnata dalla candidata-premier Anke Rehlinger vola verso la cancelleria regionale spinta dal 43,5% dei voti (+13,9% rispetto al 2017), la Cdu raccoglie appena il 28,5% (-12,2%), mentre si registra la contemporanea crescita di Verdi e liberali, passati rispettivamente dal 4 al 4,9% e dal 3,3 al 4,8%. Un balzo in avanti comunque insufficiente a garantire anche un solo seggio al Landtag di Saarbrücken. Calano, invece, i fascio-populisti di Afd (dal 6,2 al 5,7%) a conferma che xenofobia e denuncia della cosiddetta «dittatura sanitaria» non tirano più come nell’epoca Merkel.

Per la sinistra, invece, è il giorno più nero. Passata in un solo lustro dal 12,8 all’incredibile 2,6%, paga il prezzo della spaccatura interna innescata da Oskar Lafontaine, il “Leone della Saar”, compagno della deputata Sahra Wagenknecht, leader della sinistra sovranista. Uscito tumultuosamente dal partito che ha contribuito a fondare alla vigilia del voto, sulla sua testa pendeva già la procedura di espulsione dei dirigenti Linke. Ufficialmente, tutta colpa delle divergenze sulla linea internazionalista portata avanti dalle due attuali co-segretarie, di fatto, però, hanno pesato non poco le beghe sul meccanismo di assegnazione dei seggi che secondo Lafontaine è stato «manipolato».

DINAMICHE destinate inevitabilmente a offuscare la schiacciante vittoria di Anke Rehlinger, classe 1976, segretaria dei socialdemocratici della Saar, che ora può addirittura aspirare al governo monocolore. Un successo del tutto personale: nel Land dimenticato della Germania dell’Ovest è riuscita a intercettare in massa il consenso dei cittadini preoccupati più della perdita di posti di lavoro nel settore siderurgico e dell’automotive (oltre all’uscita anticipata dal carbone) che alla guerra in Ucraina e alla crisi del gas.
Rehlinger lo ha compreso prima e meglio degli sfidanti, concentrati invece in prevalenza sui temi nazionali. Secondo il sondaggio commissionato da Der Spiegel, per metà degli elettori Spd la scelta della candidata-premier è risultata determinante. In altre parole, Rehlinger – già record-woman del lancio del peso nel 1996 – è riuscita davvero a gettare la sfera della sua policy oltre il recinto della vecchia politics.

SORPRENDENDO anche e soprattutto se stessa: «Ottenere la maggioranza assoluta andava oltre la mia immaginazione, nonostante io sia sempre stata una forte ottimista. La chiave di volta è stata mettere al centro della campagna elettorale l’occupazione, dato che il cambiamento strutturale investe tutti i settori nel nostro Stato» riassume la nuova governatrice che sui media ha già rubato l’appellativo di “Regina della Saar” che fu coniato per Annegret Kramp-Karrenbauer.