L’avvincente prologo del libro di Lorenzo Bernini Il sessuale politico. Freud con Marx, Fanon, Foucault (Ets, pp. 304, euo 26) intitolato «Merde alors!» ritrae icasticamente la situazione in cui è precipitato il dibattito pubblico, sale della democrazia, nel nostro sventurato paese in virtù della violenta politica antimigranti di Salvini ministro dell’Interno.
Bernini aggancia con acume la dimensione performativa della poco elegante esclamazione di disappunto che il ministro degli Esteri lussemburghese Jean Asselborn ha rivolto al capo leghista, durante uno scontro verbale nel corso di un vertice europeo a Vienna, sottolineandone la valenza metaletterale che riconduce il mero turpiloquio a una significazione che è invece, come reazione al razzismo salviniano, densamente politica.

OGGI, infatti, il linguaggio politico, come sottolinea a più riprese l’autore, quando non sdogana platealmente l’osceno in realtà vi allude, nella misura in cui è rivelativo (perché performante) dei non detti razzisti, omofobi, sessuofobici e fascistoidi verso chiunque non corrisponda agli unici canoni stereotipati accettabili da tradizioni che grondano pregiudizi. Questa introduzione è il necessario cappello a un libro militante, sia a livello filosofico che sociologico, così come politologico che di storia delle idee. Un’ermeneutica originale di alcune influenti visioni teoriche – che incrociano le scoperte di Freud, Marx, Fanon, Foucault – si dipana, nel percorrere l’intreccio tra politica e sessualità, fino all’epilogo, da cui emerge chiaramente l’uso di queste idee in chiave di analisi politica dell’attualità su cui si staglia come patologia del contemporaneo l’attuale epidemia globale di idee di destra, talvolta estrema e, in Italia, l’egemonia culturale del salvinismo. Ideologie esiziali che raccolgono, strumentalizzandole, le peggiori pulsioni profonde di comunità disorientate che si rifugiano in sogni sovranisti e populisti a un passo dal divenire incubi collettivi. L’accentuazione filosofico-politica in questo denso volume è posta «sull’implicazione del sessuale nei differenti processi psico-politici dell’abiezione» che domina il panorama pubblico oggi, in un tentativo riuscito di rispondere con le armi della critica «alla desessualizzazione del sessuale nella teoria accademica e di movimento».

L’INTENTO DICHIARATO di questo excursus sul sesso e sul suo nascondimento, che intesse con disinvoltura l’ordito costituito dalla storia della filosofia occidentale (Kant, Hobbes, Schopenhauer, Nietzsche, Marcuse, Butler) con la trama della psicoanalisi e del marxismo, dell’antirazzismo e della biopolitica, dell’intersezionalità, della queer theory, del transfemminismo, degli studi gay e lesbici, è il disvelamento delle pulsioni sessuali denegate e dissimulate in ambito filosofico quanto falsificate e strumentalizzate nello scarno dibattito politico di cui si alimenta un’opinione pubblica infantilizzata. Quando Bernini scrive «il sessuale in quanto sessuale, non riscattato da fantasie romantiche, riproduttive, o politico-trasformative, conserva lo statuto di un’attività tossica che perturba le coscienze, che contamina le relazioni sociali» sta fotografando esattamente quel che giace sotto la forma mimetizzata e contraffatta in cui quel che resta del «perturbante» della sessualità fa ombra alla sua malcelata pervasività al livello del discorso biopolitico e governamentale in senso foucaultiano e butleriano.

LA PERSISTENZA irriducibile del sessuale come caratteristica della civiltà, anche al suo preteso massimo grado di sviluppo, già identificata da Freud – il solo a cui anche in questo libro si riconosca l’onestà intellettuale di aver posto al centro della riflessione sull’umano la sessualità con la sua potenza, le sue pratiche, le sue conseguenze –, è stata oggetto nella storia, e lo è ancora nel presente, di un’opera radicale di tabuizzazione che rende inaccettabili non solo determinate pratiche erotiche e spazi di godimento (qui identificati soprattutto con quelli omosessuali), ma soprattutto le soggettività, individuali e gruppali, che con esse vengono identificate. Vale a dire, con le parole dell’autore, «le cosiddette minoranze sessuali che rappresentano il lato selvaggio, non educabile, antifamiliare e antisociale, contro natura, della pulsione sessuale».
«Il sessuale politico» è, pertanto, sintagma che preserva la propria ambivalenza ermeneutica, sia rischiarando le sotterranee vie dove la filosofia occidentale ha rigettato e rimosso la carica erotica inizialmente colta da Platone sotto forma di assoluta potenza conoscitiva, sia additando la sfera politica come quel fondo cieco che nega persino l’esistenza della sessualità se non per disciplinarla. Bene fa, allora, Bernini a smascherare l’escamotage, da sempre diffuso in campo filosofico, inclusi Foucault e Butler, che «per teorizzare il politico sembrano dover forcludere il sessuale», vale a dire rimuoverlo, sublimandolo, ma restandone in ogni caso ossessionati. Proprio come fa la politica con la sua doppia morale sessuale, ove al pubblico disprezzo corrispondono puntualmente insopprimibili vizi privati.