La parola d’ordine delle elezioni legislative britanniche del prossimo 7 maggio è «Brexit», per British exit, vale a dire l’eventualità che i sudditi di Sua Maestà possano decidere di lasciare l’Unione europea attraverso un referendum. Inseguendo il successo degli euroscettici, il premier conservatore David Cameron ha già promesso che, se riconfermato a Downing Street, organizzerà una simile consultazione nel 2017.

Troppo tardi secondo il partito che dopo essere arrivato in testa nel voto europeo – a Bruxelles ha formato un gruppo con Grillo – è oggi dato più o meno in parità, intorno al 30%, con conservatori e laburisti: l’«United Kingdom Independence Party» (Partito per l’Indipendenza del Regno Unito) che il referendum per dire addio a Bruxelles lo vorrebbe già per il prossimo anno. Fondato nel 1993 da ex appartenenti al Partito conservatore, tra i quali l’attuale leader Nigel Farage, in polemica con la ratifica del Trattato di Maastricht, grazie a milioni di voti raccolti negli ultimi anni – ancora nel 2010 non superava il 3% -, l’Ukip non rappresenta soltanto la più importante novità del panorama politico locale, ma anche uno dei volti di maggiore successo del nuovo populismo di destra europeo, in grado di fare della critica all’élite degli «euroburocrati» l’architrave di una lettura in termini identitari e razzisti della crisi sociale del vecchio continente.

Come segnalato da Robert Ford e Matthew Goodwin, due tra i maggiori politologi britannici, nel loro «Revolt on the Right: Explaining Support for the Radical Right in Britain» (Routledge, 2014), «lo Ukip manda un messaggio molto semplice agli elettori: votandoci potrete dire “no” all’immigrazione, “no” a Westminster, “no” alla Ue. Infatti, da gruppo di pressione anti-europeo, il partito ha conosciuto un’evoluzione verso un’identità di estrema destra in grado non soltanto di raccogliere i consensi del ceto medio conservatore, ma sempre più spesso anche di tutti coloro che considerano di essere stati “lasciati indietro”, dimenticati dalla politica e dalle istituzioni. Soprattutto settori della working class bianca tradizionalmente legati al Labour».

La «sociologia del voto» populista britannico proposta da Ford e Goodwin, si presta così a descrivere la situazione di molti altri paesi. «Gli slogan dell’Ukip – spiegano i ricercatori – si rivolgono principalmente a quei settori della società britannica che non si sentono rappresentati. Si tratta di persone che vivono nei piccoli centri, lontano dalle metropoli e soprattutto da Londra e che hanno, in media, un basso livello di istruzione.

Votano contro l’immigrazione pur non vivendo nelle zone dove la presenza degli immigrati è più forte, ma perché identificano con questo fenomeno la loro perdita di status». Si tratta in maggioranza di «maschi bianchi, spesso non più giovanissimi, lavoratori o pensionati che vivono soprattutto nelle aree industriali o ex industriali o nelle piccole città di provincia», che danno corpo a quella sorta di rivolta in nome del risentimento incarnata dall’Ukip.