Non solo Pink Floyd: l’alone di culto che sta progressivamente coinvolgendo il cosiddetto «rock progressivo» classico degli anni Settanta è diventato oggi quasi una religione laica mondiale, forse il segno più evidente di quella che Baumann ha chiamato «retrotopia», l’attuale nostro procedere con lo sguardo volto all’indietro. Un sicuro oggetto di culto, accanto al gruppo dei maiali volanti e degli orologi impazziti sono senz’altro i King Crimson. Gruppo sempre rivendicato come neutro crocevia di apporti diversi da Robert Fripp, il creatore, e sempre più riconducibile, invece, a un concentrato prospettico di forze che rimandano sempre a lui, il Re Cremisi.

I King Crimson, a differenza dei Pink Floyd, non sono mai stati una creatura bicefala, e la dispotica genialità di Fripp ha garantito, ad oggi, quasi mezzo secolo ininterrotto di continuità crimsoniana, ma segnata da tali e tante discontinuità, capriole stilistiche e «fratture», per usare una parola che Fripp ama molto, da lasciar pensare che la norma sia stare sul chi vive, in quel reame mobile e cangiante. Dove quel che resta è il catalogo, imponente e continuamente riaggiornato di reperti, come per i Floyd. L’attuale «Mostruosa creatura» 2017 (sempre parola di Fripp) è tra le più toste e bizzarre: in ottetto, tre batteristi in linea, praticamente un unicum nella storia del rock, ma, soprattutto, il ritorno in formazione di un King Crimson storico: Mel Collins con i suoi fiati, l’uomo che illuminò di spericolate derive romantiche e jazzistiche i dischi dei Crimson che fecero seguito all’esordio del 1969, In the Court of the Crimson King.

Fu un momwnro particolarmente creativo e dirompente, ma rimasto largamente sottotraccia, a causa della rilevanza «storica» di quell’esordio che cambiò le sorti del rock e delle note popular e di ricerca, esattamente come i primi dischi dei Pink Floyd. La prima notizia è che, con Mel Collins in formazione, i King Crimson stanno vivendo un’ennesima nuova primavera, e i frutti abbondanti) già si vedono. Nell’arco di pochi mesi abbiamo visto apparire un ep con la riproposta di Heroes dal vivo a Berlino, in occasione del quarantennale dello storico brano di David Bowie, che palpitò nelle coscienza di tutti anche perché c’era la chitarra visionaria di Robert Fripp, e un disco doppio dal vivo a Chicago che, guarda caso, ripropone per la prima volta dal vivo tanti brani dell’era Mel Collins: a cominciare da Islands che diede titolo a un disco molto amato. Peraltro questa formazione a breve la ascolterete e vedrete anche in Italia: sette date tra il 19 luglio e il 28 luglio, e, ironia della sorte, inizio con una doppietta di concerti (19 e 20, dunque) proprio in quella Pompei che contribuì a rivelare al mondo i Pink Floyd.

La seconda notizia, e non la meno importante, è che Fripp ha messo mano all’archivio del periodo Collins, e lo ha fatto da par suo: producendo quello che, ad oggi, è il più «mostruoso» cofanetto esistente nel rock a documentare maniacalmente un periodo specifico. Si intitola The Sailor’s Tale, ha la stessa copertina di Islands e contiene la bellezza di ventuno cd, quattro Blu Ray e due Dvd. Parte del materiale era conosciuto, visto che a latere del progetto King Crimson opera da anni un Collector’s Club: ma qui quattro interi show sono totalmente inediti, in qualsiasi formato, e rilucono di luce nuova i brani in studio delle leggendarie session di prova dei Summit Studios, Denver 1972. Una costosa miniera di gemme.