«Qui a Chittagong siamo nella periferia del Bangladesh, tra i paesi più periferici del mondo. Una nazione povera, dimenticata, associata a stereotipi duri a morire. Per questo comprendiamo meglio di altri il messaggio del Santo Padre, rivolto agli ultimi, ai poveri, ai dimenticati, e che riporta le periferie al centro del mondo. Lo aspettiamo con grande gioia».

L’ARCIVESCOVO MOSES COSTA è entusiasta per la visita di papa Bergoglio, che arriverà nella capitale Dacca giovedì, con un’agenda fitta di incontri (vedi box) dopo la visita in Myanmar. Ad accoglierlo ci sarà una buona parte della comunità cattolica, che in questo paese a maggioranza islamica rappresenta un’esigua minoranza: 380.000 fedeli su circa su 170 milioni di abitanti.
Nato a Dacca, vissuto per 15 anni nel nord del paese e da 6 anni vescovo di Chittagong, città industriale e portuale da 5 milioni di abitanti, Moses Costa è lontano anni luce dalla formalità e dal protocollo della Chiesa di Roma. Ci accoglie con una calorosa stretta di mano e un sorriso genuino nel suo piccolo ufficio, al primo piano di uno degli edifici all’interno del complesso che ospita la diocesi e la Chiesa Nostra Signora del Santo Rosario.

SIAMO NEL QUARTIERE di Patherghatta, nella parte sud della metropoli, conosciuto non a caso come il quartiere cristiano. In un quadrilatero di pochi chilometri fatto di vicoli stretti attraversati da risciò a pedali, si contano diverse scuole cattoliche, di ogni grado e livello. «Uno dei nostri punti di forza, qui, è l’istruzione. Ci rivolgiamo a tutti, senza distinzioni», nota l’arcivescovo, che ricorda come il 90% degli iscritti siano di altre confessioni. Un esempio di convivenza.

DA RIVENDICARE. «La nostra è una piccola comunità. Nel distretto di Chittangong ci sono 35 preti, circa 50 suore, 350.000 fedeli, su una popolazione ampia. Ma siamo molti attivi. Soprattutto nell’educazione. E siamo vicini agli ultimi. Per questo in tanti ci stimano. E la convivenza risulta più facile». Eppure, non basta. «Papa Francesco porterà un messaggio di armonia e riconciliazione. Negli ultimi anni ci sono stati alcuni segnali poco incoraggianti. Ma non possiamo dire di essere preoccupati. La visita del Santo Padre ci incoraggia. Per noi, è un riconoscimento e una speranza, affinché le cose migliorino».

LA STESSA SPERANZA che hanno molti fedeli che frequentano la chiesa del Santo Rosario. Li incontriamo di sera, quando fuori è già buio, al termine della messa. È una riunione organizzata per l’ospite straniero, i cui discutere delle aspettative sulla visita di Bergoglio.
Intorno ai tavoli, più di venti persone. Tra loro, tanti sono sul punto di partire per Dacca. «Qualcuno ha preso le ferie dal lavoro, pur di avere l’occasione di incontrare il Santo Padre», spiega Damian Quiah. «La parrocchia ha organizzato alcuni bus. Ma molti vanno per conto loro. Chi appoggiandosi ad amici e parenti a Dacca, chi andando e tornando in giornata».

«PER NOI – prosegue Runu Daria, una donna anziana, elettrizzata per il viaggio – l’importante è accogliere e vedere il Papa. Ce lo manda Dio. È una vera e propria benedizione». Tra i più anziani, c’è chi ancora ricorda la visita del 1986 di papa Giovanni Paolo II, la prima di un papa in Bangladesh, divenuto indipendente dal Pakistan solo nel 1971: «Allora dimostrammo a tutto il Paese che esistevamo anche noi cattolici. Molti ignoravano perfino la nostra esistenza. Oggi non la ignorano più, ma c’è bisogno di mostrare la nostra unità». E di facilitare la convivenza interreligiosa. Su questo, le opinioni sono contraddittorie. Da una parte tutti tengono a rivendicare il carattere per così dire speciale del Bangladesh, dove musulmani, induisti, buddisti, cattolici cristiani e ortodossi riescono a convivere senza tensioni settarie, spesso sanguinose nei Paesi vicini.

Dall’altra, c’è la consapevolezza che gli equilibri siano precari. Che la convivenza sia un’idea bella, ma difficile da praticare. E reversibile.

«NON POSSIAMO DIRE di non essere liberi di praticare la nostra fede, questo no», sostiene Sharmain Rodriguez Rozario, insegnante di inglese e letteratura inglese alla International University di Chittagong. La incontriamo a casa sua, nella Maria & Joseph Mansion, un complesso di palazzine su Brickfield Road abitate soltanto da cattolici. «Però in passato ci sono stati episodi di intolleranza. Il messaggio di pace e armonia che porterà papa Francesco sarà utilissimo: qui, in molti lo conoscono già».
La professoressa Rodriguez Rozario riporta un aneddoto significativo: sulle mura esterne del complesso della diocesi, da settimane sono affissi poster che celebrano la prossima visita di Bergoglio. «Un giorno, ho sentito due clerici musulmani, con zuccotto e barba lunga, che dicevano con tono ammirato ‘arriva il fratello anziano’. Forse non tutti, ma molti musulmani lo ammirano».

CHIEDIAMO CONFERMA ai fedeli riuniti dopo la messa. Ribadiscono la stima di cui gode Bergoglio in Bangladesh. Sonia D’Costa è una ragazza poco più che trentenne, studentessa. Sostiene che «i meno istruiti forse non sanno chi sia, specie nei villaggi. Ma in città, a molti è arrivato il suo messaggio. Che colpisce per la sua semplicità. E perché rivolto ai poveri, ai bisognosi». Come i Rohingya, la minoranza musulmana perseguitata in Myanmar e costretta a oltrepassare il confine, trovando rifugio temporaneo in Bangladesh. «Oggi i Rohingya rappresentano la periferia del mondo. Quella a cui presta attenzione il Papa venendo qui. Lui dimostra che la Chiesa deve affidarsi meno alla diplomazia, e di più alla fede. Sono convinto che il Santo Padre troverà parole di verità anche per i nostri fratelli Rohingya», ci dice l’arcivescovo Moses Costa prima di invitarci a cena.