Era l’11 febbraio 1996, e ad oggi sono passati vent’anni da quando Amelia Rosselli si gettava dal quinto piano del suo appartamento in via del Corallo a Roma. I suoi Primi Scritti risalgono al 1952, seguiti da una serie di raccolte poetiche e alcuni scritti in prosa, e l’ultima raccolta intitolata Impromptu risale al 1981, dopo un lungo periodo di silenzio creativo.
L’esilio è stato fin dalla nascita un elemento che l’ha accompagnata lungo il corso della sua esistenza. Sotto lo stesso segno, quando venne al mondo quel 28 marzo del 1930, Carlo Rosselli e Marion Cave accolsero a Parigi, a causa delle persecuzioni fasciste, la loro prima figlia.

Tra Francia, Italia, Svizzera, Inghilterra e Stati Uniti la poeta consacrò la sua vita alla scrittura poetica, alla musica e alla ricerca delle forme e dei suoni che potessero contenere entrambe. Dopo l’uccisione del padre emigrò prima in Inghilterra, dove ritornerà, poi negli Stati Uniti passando per il Canada; nel 1946 giunse Italia, a Firenze e successivamente a Roma, dove si stabilirà.

In canto e in verso

Nel ventennale della sua morte diverse pubblicazioni celebrano la sua figura d’artista poliglotta e apolide. Oppure, di «rifugiata», come Gabriella Sica sottolinea, la poeta teneva a precisare. Il contributo di Sica, che ricorda appassionatamente i suoi anni di frequentazione e di amicizia con Amelia Rosselli, è contenuto nel numero 74 di Nuovi Argomenti appena pubblicato (Mondadori, pp. 221, euro 16), che ha dedicato un’intera sezione della rivista alla figura di Amelia Rosselli. Nanni Balestrini Antonella Anedda, Roberto Deidier, Stefano Giovannuzzi, e ancora Alberto Casadei, Alessandro Baldacci, Gandolfo Cascio, Laura Barile, Daniela Attanasio, Jennifer Scapettone: i singoli contributi si collocano oltre il mero omaggio di circostanza. Così anche quelli di Jean-Charles Vegliante, Daniela Matronola, Laura Pugno e di Ulderico Pesce. La ricognizione è quindi affidata a nomi illustri sia della poesia che della critica letteraria e determina una pluralità di letture.

Amelia Rosselli, foto di Dino Ignani

«Nell’udire certe dissonanze/ al lento chiaro di luna/ poiché ciò che, infreddoliti, né io né te capiamo,/ è ben oltre le nostre speranze, forse/ è vero amore, disse la cornamusa/ congelandomi./ Mentre in lente volute le note parlavano senza paura/ io chiusi gli occhi e cantai lentamente, una stretta/ nel pulsare di tutte le moltitudini». Nell’introduzione, Maria Borio riferendosi alla poesia di Rosselli, tratta dalla raccolta in lingua inglese Sleep (1953-1966), si sofferma sull’ultimo verso. Secondo Borio «Nel pulsare di tutte le moltitudini» è un passaggio decisivo, «attraverso cui oggi si può lanciare lo sguardo alla scrittura di Amelia Rosselli e ritrovarne la presenza in almeno due fenomeni: una tonalità emotiva centrata su una pronuncia individuale e interiore, che si sgancia dalle poetiche del Novecento e cerca con fatica la propria autenticità espressiva; e la capacità di tenere insieme più linguaggi, musica, parola, diverse lingue». La moltitudine rosselliana si costituirebbe nella ricerca di una singolarità espressiva e nel tentativo di superamento dalle poetiche novecentesche, compresa quella neoavanguardista del Gruppo ’63, nell’incontro delle moltitudini di linguaggio, di «cifra» linguistica e di dettato musicale, nel lento canto di una pulsazione multipla.

L’approccio psicanalitico del contributo di Caterina Venturini, intitolato A mother dead is any body dead. Madre e materno in Amelia Rosselli analizza il rapporto di Rosselli con il simbolico materno, riferendosi alla prosa in inglese di My clothes to the wind, scritta tra il ’51 e il ’52 e incentrata sulla figura della madre Marion Cave, scomparsa improvvisamente nel ’49. Venturini parla dell’apparizione di uno «stabat mater rosselliano», attraverso cui si passa dalla rappresentazione di una madre che detiene la forza del lacrimare «con il quale ricorda agli altri di essere al mondo, con il quale punisce gli altri, soprattutto quando quel lacrimare si traduce in parola, in versi che la rendono intoccabile da Cristo, inascoltabile come Cassandra», a quella di un’assenza: «la mancanza della Madre diviene dunque la mancanza di un corpo, a mother dead is any body dead, in cui non ci si può specchiare per paura di vederne e toccarne il vuoto, quel pozzo profondo in cui si precipita». Anche Gian Maria Annovi, nel suo intervento intitolato Un’avanguardia eccentrica, cita la figura di Cassandra, ma con altre intenzioni. Ripensando al posizionamento identitario di Rosselli come un intenzionale «dis-locamento» rispetto alla neoavanguardia allude alla sua ironica «citazionalità»: la figura di Cassandra, ma anche a quella di Ortensia e di Ofelia condurrebbero a una forma di mimétisme secondo cui Rosselli metterebbe in scena la sua performance di genere.

Inguaribili esposizioni

Altra recente pubblicazione, a cura di Enzo Campi per le edizioni Marco Saya, è Il colpo di coda. Amelia Rosselli e la poetica del lutto (pp. 144, euro 12). Il volume si compone di contributi critici (Daniele Barbieri, Biagio Cepollaro, Antonella Pierangeli, Salvatore Ritrovato, Marco Adorno Rossi), contributi poetici e creativi (Antonio Loreto, Silvia Molesini, Renata Morresi, Marina Pizzi, Maria Pia Quintavalla, Maria Luisa Vezzali) e due lettere immaginarie (Tiziana Cera Rosco e Plinio Perilli). Esso contiene inoltre i testi dei vincitori e dei finalisti dei concorsi letterari banditi dal Festival Bologna in Lettere in occasione della quarta edizione appena conclusasi e dedicata quest’anno a Rosselli.

I contributi critici indagano, secondo prospettive d’analisi differenti, la questione dello statuto della soggettività e dell’esposizione del sé biografico in concomitanza alla relazione di comprensibilità tra il sé, l’altro e il mondo: da cui la scrittura come pratica relazionale, la questione dei rapporti tra soggettività e linguaggio, il dibattersi tra sperimentalismo e il mito pasoliniano dell’irrazionalità.
Ma perché «colpo di coda»? Da dove viene l’immagine del titolo? Enzo Campi spiega che il colpo di coda è una forma di slancio e di ripiegamento nel sé: tutto in Rosselli «verte sul doppio e sul raddoppiamento perché – proprio per l’imprinting luttuoso – ad ogni gettata verso l’esterno, verso un qualsiasi destinatario corrisponde un ritorno verso il mittente, un rientro-a-sé. Sembrerà quindi evidente che il colpo di coda non può rappresentare un punto di fuga ma un punto di rientro». E quando chi legge percepisce tale colpo di coda, quando percepisce il punto di «rientro a-sé» ecco presentarsi una forma di decentramento del soggetto intenzionale: essa passa tramite l’abbandono del sé, da cui l’estromissione dal «fare vita» attraverso l’impersonificazione del lutto – i modi poetici che compongono l’autoritratto luttuoso di Rosselli.

La riflessione sulla soggettività rosselliana volge alla messa in esame del linguaggio poetico: questa lingua così eterodossa, così multipla e babelica ha saputo mettersi a confronto con il carattere istituzionale e canonico dell’italiano della comunicazione quotidiana, corrompendone il suo statuto di lingua d’uso. Ma anche la lingua della tradizione poetica è perturbata, mediante i processi d’ibridazione con le altre due lingue del patrimonio culturale di Rosselli: il francese e l’inglese. Francesco Carbognin scrive che i suoi esperimenti interlinguistici «ne corrompono l’intima singolarità idiomatica, ibridandone le strutture con le peculiarità fonologiche, mor-fologiche, sintattiche e lessicali di altre due lingue: quasi si trattasse, per ogni lingua implicata nell’elaborazione del testo, di infrangerne il carat-tere stesso di sistema autosufficiente di segni, al fine di disoccultarne, sul piano allegorico, una sottesa ambizione al totalitarismo semantico, di contrastarne l’unilateralità della visione del mondo soggiacente alla tradi-zione letteraria in essa storicamente articolata».

Inclinazioni e affinità

I rapporti tra le dinamiche interne ed esterne all’opera rosselliana sono indagate anche nel numero 16 di Quaderni del ’900, rivista annuale di letteratura e cultura italiana, che quest’anno dedica il suo monografico all’opera e alla figura della poeta italiana.

Il volume, in libreria tra due settimane, si intitolerà Eredità e attualità poetica di Amelia Rosselli (a cura di Magdalena Maria Kubas e di Eugenio Murrali) per Fabrizio Serra Editore. Per l’occasione, secondo la sua inclinazione comparatista e in ordine al plurilinguismo rosselliano, la rivista ha arricchito l’abituale bilinguismo italiano/inglese accogliendo anche saggi in lingua francese. Si tratta di contributi di giovani studiose e studiosi afferenti a diverse aree linguistiche e di ricerca: i saggi tratteranno la questione delle affinità e influenze poetico-linguistiche di Rosselli e il suo rapporto con le avanguardie del primo Novecento; l’indagine della sperimentazione metrica, tipografica, musicale, quella sugli interessi della poeta per la ricerca musicale ed etnomusicologica; infine saranno trattati i problemi di traduzione dell’opera e quelli legati all’auto-traduzione e (auto)riscrittura come pratica poetica rosselliana.

A memoria della voce di Amelia Rosselli, risulta complesso restituirne il lascito. Tuttavia è sempre lei, nei versi di una esistenza in cui è riuscita magistralmente a trafiggere il proprio esilio di attenzione amorosa, a domandarci il perdono ansante e arduo nei confronti di ogni essere vivente.
«Perdonatemi perdonatemi perdonatemi/ vi amo, vi avrei amato, vi amo/ ho per voi l’amore più sorpreso/ più sorpreso che si possa immaginare./ Vi amo vi venero vi riverisco/ vi ricerco in tutte le pinete/ vi ritrovo in ogni cantuccio/ ed è vostra la vita che ho perso». Da Appunti sparsi e persi, raccolti tra il 1966 e il 1977, versi scelti come l’arco di un commiato nello splendore di un canto dell’abbandono e dell’incontro.