C’è un Jobs Act alternativo, un po’ più «ammorbidito» e un po’ meno liberista rispetto a quello renziano: lo ha presentato, nella forma di un decalogo che vorrebbe emendare le proposte del segretario, l’area labour del Pd, guidata da Cesare Damiano, già ministro del Lavoro e oggi presidente della commissione Lavoro della Camera. In calce, troviamo la firma di una ventina di parlamentari Pd.

Si chiede sostanzialmente di non mandare alla deriva l’articolo 18, accettando il «contratto unico», ma fissando dei paletti di contenimento. Così come si raccomanda di non gettare, con l’«acqua sporca» degli ammortizzatori vecchio stampo, anche il prezioso bambino della cassa integrazione, utile a non far chiudere le imprese e a salvare tanti posti. Cassa che, va sempre ricordato, è finanziata da lavoratori e imprese, e non dalla fiscalità generale.

Ancora, si chiede di affrontare il nodo della previdenza, soprattutto rispetto all’età pensionabile (innalzata a livelli folli dalla riforma Monti-Fornero) e assicurando reali tutele a chi è precario.
Ma vediamo i diversi punti, in sintesi.

1) Risorse. Per estendere l’indennità di disoccupazione, occorrono vari miliardi di euro: dove si trovano nell’immediato?

2) Regole. Non c’è nessun pregiudizio verso il contratto di inserimento a tempo indeterminato, ma l’eventuale incentivo legato alla «prova lunga» (da sei mesi a tre anni) deve essere erogato al datore di lavoro soltanto al termine del periodo e se avviene la trasformazione a tempo indeterminato. In caso di licenziamento durante la prova, va garantito al lavoratore un congruo indennizzo economico. È pienamente condivisibile che il Piano preveda, accanto al contratto di inserimento, il disboscamento delle forme di lavoro precario. Infine, è essenziale che il passaggio alla stabilità, dopo la prova, comporti la piena tutela dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per i neo-assunti sia per i licenziamenti senza giusta causa per motivo discriminatorio sia per motivi economici.

3) Codice del lavoro. La semplificazione non deve essere deregolazione delle tutele.

4) Lavori autonomi. Vanno definite tutele e incentivi per i lavoratori autonomi, ispirandosi alla proposta di legge del Pd sullo «Statuto del lavoro autonomo».

5) Ammortizzatori sociali. L’idea condivisibile del Piano, di avere un assegno di disoccupazione universale per chi perde il lavoro, non va confusa e contrapposta con la cassa integrazione. Cancellare questo secondo strumento significherebbe gettare sul mercato del lavoro centinaia di migliaia di nuovi disoccupati: una vera e propria bomba sociale. È invece necessario riformare la cassa in deroga, prevedendo un contributo delle imprese e dei lavoratori.

6) Rappresentanza e modello di contrattazione. Il Jobs Act sul tema rappresentanza è condivisibile. Per quanto riguarda il modello di contrattazione, non richiamato, riteniamo che il Pd debba tenere a riferimento l’accordo raggiunto dalle parti sociali e ribadiamo la netta contrarietà a spostarne il baricentro verso la contrattazione aziendale. Semmai, si tratta di specializzare i due livelli: in azienda si regoli il negoziato sulla produttività; nel contratto nazionale la difesa del salario e le normative.

7) Partecipazione dei lavoratori. Non condividiamo la proposta del Jobs Act. Preferiamo quanto già delineato da un ddl del Pd, che propone i Comitati consultivi nelle aziende con più di 300 dipendenti.

8) Costo del lavoro. Parte prevalente delle risorse che il governo sarà in grado di reperire nel prossimo futuro vanno indirizzate per la riduzione del cuneo fiscale.

9) Salute e sicurezza. Riprendere l’esperienza del governo Prodi 2006-2008.

10) Previdenza. Nel Jobs Act non si parla di previdenza. Ma va introdotta la flessibilità di uscita; risolto il tema delle ricongiunzioni, delle tutele per giovani e precari, dell’adeguamento degli assegni medio-bassi.