Sessantaquattro anni e la voglia di giocare ancora con la musica. Cerrone per i disco maniaci è un icona che si perde agli albori del genere ma che ha saputo mantenere sempre accesa l’attenzione con album – ne ha infilati uno dietro l’altro più di una ventina, soprattutto nel periodo fra il 1976 e il 1980 – e con infiniti tour e dj set quando la disco è diventata fenomeno dai reiterati revival. Ora che i 4/4 sono stati nuovamente sdoganati dai Daft Punk è venuto il tempo per un ritorno anche discografico, sette anni dopo Cerrone by Jamie Lewis ecco arrivare Red lips – pubblicato in queste settimane su etichetta Malligatore/Because Music. Un inno agli anni dello Studio 54 ma con suoni aggiornatissimi, produzione meticolosa e un parterre infinito di ospiti esclusivi.

E a coronare l’omaggio ai 70 anche le allusioni sessuali, con due labbra rosse – come recita il titolo – a campeggiare sulla cover. Certo niente a confronto dell’iconografia simil hard degli inizi, con donnine più o meno svestite in copertina mentre una suite come Love in C Minor – ispirato a Love to Love you baby di Donna Summer, poneva l’accento su una sessualità esplicita e sfrontata attraverso il racconto di una notte bollente tra un uomo e tre ragazze. Certo Red Lips funziona aldilà dei richiami alla disco, per una cura nei particolari e nella produzione, in cui beat ultramoderni e voci distorte si rincorrono su tappeti di violini e sessioni fiati.

Album molto suonato – come ha tenuto a sottolineare lo stesso artista francese, figlio di un italiano di Frosinone emigrato durante il periodo del fascismo: «Ci ho impiegato tre anni ma non per difficoltà, quanto perché dovevo far combaciare i turni in sala di registrazione con i miei impegni». Qua e là molti rimandi anche agli ’80 – James Hart nell’apertura di Therapy sfoggia una vocalità ispirata a Michael Jackson, mentre Wallace Turrell nella title track si diverte a modulare la voce su un falsetto vicino a Prince. «Perché questo perenne ritorno della disco? – spiega l’autore di Supernature – credo che abbia a che fare con il senso di felicità che dà l’ascolto di quelle canzoni, il fatto che non si possa a fare a meno di muoversi a ritmo. E poi anche alla voglia della gente di ballare su strumenti suonati da veri musicisti, una chitarra, una batteria i fiati e non solo suoni sintetizzati». E non ci spiegheremmo, infatti, il successo di Bruno Mars che del vintage ha fatto il suo marchio di fabbrica.

Tanto groove, divertimento e un pizzico di fortuna nella carriera di Cerrone. Love in C minor – il suo debutto vincente del 1977 – non spopola subito. Anzi, l’album viene rifiutato da più di un discografico così che all’ennesimo no, Cerrone decide di stampare 5 mila copie da solo. Va a Londra e con queste copie pensa di distribuirlo nei disco club francesi, ma per un disguido uno scatolone destinato a un negozio parigino finisce negli Usa dove viene scoperto casualmente da un dj che comincia a suonarlo nei club newyorkesi. Da lì è il diluvio, il brano balza in seconda posizione nelle disco charts di Billboard. È l’inizio della Cerrone mania che celebriamo ancora sui dance floor nel 2016.