C’è un assordante profumo di morte, di disfacimento fisico o comunque di abisso dal quale venire inesorabilmente inghiottiti, come un senso infantile di autodistruzione, in questo Battuage, opera due del gruppo palermitano Vucciria Teatro che al fiorentino Teatro di Rifredi (ancora stasera e domani) ha chiuso il Queer Festival, rassegna non di solo cinema a tematica lbgt, impaginata da Bruno Casini e Roberta Vannucci. Fondato nel capoluogo siciliano nel 2012 dal 25enne Joele Anastasi (laboratori a Venezia con Claudio Tolcachir e a Napoli con Angelica Liddell) insieme a Enrico Sortino, Vucciria si era fatto notare col precedente pluripremiato Io, mai niente con nessuno avevo fatto, altro quadro di solitudini e sconfitte.

Violento, crudo e sussultante come un carrello di miniera, trafitto da continue pugnalate allo stomaco col suo linguaggio estremo, senza sconti o censure, solcato da uno spasma sessuale feroce e doloroso, unica consolazione al degrado esistenziale, Battuage («un finto francesismo con cui vengono definiti quei luoghi in cui le persone si incontrano in cerca di rapporti occasionali e sono frequentati sia da single che da coppie dedite allo scambismo», precisa Anastasi che l’ha scritto e diretto) rimorchia e ingoia in un forsennato ottovolante verbale, scampoli di «sans papier», anime sconsacrate in cerca di divinità, simbolicamente rapprese in prostitute, travestiti, transessuali, magnaccia, clienti.

Tutti al seguito del protagonista Salvatore (lo stesso Anastasi), uscito dal siculo guscio di una madre che è il vero strazio della sua vita guastata, aspirante show-man, naturalmente disposto a tutto pur di agguantare il corpo e il portafoglio giusti. Che non arriveranno. Ora, l’uomo da marciapiede è circondato da lapidi di cimitero, notturno fondale magrittiano, come tante schegge di cessi pubblici, orinatoi a vista, vespasiani maleodoranti, ma anche siparietti, angoli di camerino dove cambiarsi e truccarsi, separé che sconfinano nel confessionale e nel «glory hole».

Il lavoro di Anastasi, affiancato da Enrico Sortino, Federica Carruba Toscano e Ivan Castiglione, tutti bravi nel contenere le derive caricaturali o melodrammatiche, in questi casi sempre dietro l’angolo, rivela una non comune urgenza narrativa e forza espressiva non disgiunte da un desiderio, crediamo sincero, di colpire comunque lo spettatore. E che quando si immerge nel delirio della quotidianità, eliminando sentimentalismi e attenuando isterismi familiari e messaggerie sociali, ne esce come purificato, fino a toccare le corde di un contemporaneo oratorio metropolitano, un rap, una preghiera. Smontati dal desiderio, il paradiso può attendere.