«Gli anni friulani di Pasolini – L’Academiuta e il suo trepido desiderio di poesia» è la grande mostra che rilancia, in questo periodo di post pandemia acuta, il Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia (Pordenone). Inaugurata il 9 maggio l’esposizione è aperta fino al 3 ottobre prossimo. Si tratta di un’iniziativa in gran parte originale (almeno come corpus mai così completo) non solo dell’Academiuta di lenga furlana inventata dal poeta negli anni della sua gioventù (esattamente 75 anni fa) ma dell’intera formazione pasoliniana nel «paese di temporali e di primule». E ripercorrere le dieci sezioni in cui è articolata la mostra degli anni friulani, arricchita da due capitoli che abbracciano la formazione bolognese e i primi anni romani dopo la fuga dal Friuli, è emozionante se si considera che il tutto è accompagnato da un catalogo davvero bello e ricco. I documenti in mostra sono composti da edizioni rare di libri e riviste, manifesti, testi teatrali, disegni e dipinti degli amici artisti di Pasolini, lettere, curiosità varie. E spiccano i cinque Quaderni rossi” del poeta affidati al cugino Nico Naldini quando abbandonò il Friuli («fuggii con mia madre a Roma come in un romanzo») dopo la denuncia e lo scandalo in cui fu coinvolto (e assolto in seguito: si trattò di una innocente masturbazione collettiva).

Sono testi di un diario intimo che Pasolini tenne in quel periodo – iniziò a scriverli nella primavera del 1946 – , in cui parla esplicitamente del suo «destino di non amare secondo la norma». E molti inediti battono sul rapporto di Pasolini con la sua famiglia, ad esempio col fratello partigiano Guido ucciso nella strage di Porzùs. Da citare ancora la parte ritrovata del testo teatrale La Morteana e dello spettacolo dell’Academiuta Il fanciullo e gli Elfi del 1945. Del famoso testo drammatico I Turcs tal Friul sono da vedere le diverse stesure autografe in lingua. E naturalmente il tuffo al cuore lo danno le numerose foto e reperti che ci riportano in una provincia e in un tempo ricco di fermenti che Pasolini stesso descrive in seguito così: «Mi piace ricordare quelle riunioni poetiche come una specie di Arcadia, o, con più gioia, come una specie, molto rustica invero, del salotto letterario. La gioia con cui ci trovavamo dava dunque una fisionomia particolare, addirittura commovente a quei nostri meriggi domenicali; e tutto questo mi conferma ancora una volta che io vivrei (oh, questo condizionale!) in uno stato di inalterata gaiezza».