L’ascesa vorticosa dell’islamismo nel mondo arabo è fonte di dibattito da Occidente a Oriente. Il dissolvimento di Stati nazione, le «primavere arabe» – rivoluzioni popolari e spontanee da molti considerati parentesi conclusa, ma la cui spinta propulsiva cova sotto la cenere della repressione –, il terrorismo jihadista in Medio Oriente, Africa e Europa hanno aperto a descrizioni del fenomeno spesso limitate.
Cos’è l’islam, cos’è il jihadismo: domande a cui cerca di dare una risposta lo scrittore algerino Boualem Sansal in Nel nome di Allah. Origine e storia del totalitarismo islamista (Neri Pozza, pp. 160, euro 15). Critico dell’islamismo radicale, allontanato dal suo posto di lavoro al ministero dell’Industria di Algeri per la disapprovazione verso il regime, è autore di numerosi libri tra cui 2084, romanzo distopico che gli è valso il Grand Prix du roman 2015 dell’Académie française.

NELLA SUA ULTIMA OPERA, Sansal parte dal suo paese, esempio dell’avanzata dell’islamismo radicale nelle stanze dei bottoni e tra le masse, all’indomani della crisi dello Stato dell’indipendenza: uno scontro brutale che ha trascinato l’Algeria in una sanguinosa guerra civile, una stagione di attentati che ha costellato gli anni Novanta e i primi Duemila e sotterrata sotto una coltre di falsa amnistia mai tradotta in reale pacificazione.
Le stesse dinamiche si sono sviluppate nel resto del mondo arabo e Sansal ne dà resoconto accurato. Tra i meriti del libro, l’attenzione storica e il fine didattico: la descrizione delle correnti dell’islam, dalle principali (sunnismo e sciismo) alle minoritarie (dagli alawiti ai sufi), permette di dare le coordinate e tracciare i confini di una realtà variegata. Il tutto all’interno di un percorso storico dall’Islam dalle origini all’opera ideologica dei più influenti intellettuali e imam.

Fino all’oggi: Sansal entra nella questione statuale dell’Islam politico, a partire dall’analisi dei paesi (Iran e Arabia saudita) che sono spartiacque tra le epoche antica e moderna ricche di fedi e correnti – per gran parte in grado di convivere – e una contemporaneità in cui la religione è strumento di strategia politica e interesse economico. In tale contesto le masse scompaiono nel mare magnum delle ragioni di Stato, schiacciate dai regimi laici o religiosi che siano, nazionalisti e socialisti prima e islamisti poi. Una marginalizzazione che è narrativa oltre che socio-economica, una trappola in cui lo stesso Sansal cade.
Se l’autore tocca il ruolo progressista di giovani e donne e quello dirimente della miseria e dell’esclusione come humus su cui l’islamismo fa crescere un consenso di fatto estorto, finisce poi per imboccare la stessa via senza uscita: nella sua analisi le società arabe diventano un monolite, un unicum indefinito, succube passivo di profeti e visioni unilaterali e naturalmente votato al jihad, che sia questo obiettivo da realizzare con mezzi pacifici e di conversione o con strumenti di morte e imposizione.

SCOMPARE LA QUOTIDIANITÀ pacifica e assolutamente maggioritaria della religiosità musulmana e il ruolo incontrovertibile della colonizzazione europea che ha provocato un ritorno alla religione come forma di affermazione dell’identità. Scompare la differenziazione – assolutamente necessaria per non cadere in stereotipi islamofobi – tra il jihadismo radicale del Fis algerino, di al Qaeda o dell’Isis e l’Islam politico (e nonviolento per la quasi totalità della loro attività) dei Fratelli Musulmani. E scompare il massiccio intervento di Arabia saudita e Golfo in termini di finanziamento di gruppi estremisti e di diffusione di teorie radicali (il wahhabismo su tutti) tramite la capillare apertura di scuole e moschee di ispirazione salafita.
L’appiattimento non rende giustizia al composito mondo musulmano e alle spinte naturali dei popoli verso la laicità. E non rende giustizia al lavoro stesso dell’autore, capace di fornire al lettore gli spunti per approfondire la storia millenaria di popoli che hanno regalato al mondo cultura, arte e scienza, quei «lumi» cari a Sansal oggi soffocati da regimi sostenuti dalla comunità internazionale e da falsi profeti di una prigione travestita da liberazione.