Nel nome della madre, è un altro millenario pezzetto di patriarcato che se ne sta andando in frantumi. Anche lo stato italiano, infatti, dovrà garantire il diritto ai genitori di poter scegliere se dare ai figli il cognome del padre o quello della madre. Il parlamento avrà tre mesi di tempo per mettersi al passo con i tempi.

Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo che ha condannato l’Italia per aver negato a una coppia di coniugi di Milano la possibilità di dare alla figlia il solo cognome materno e non quello del padre. La Corte di Strasburgo, pur riconoscendo che la Corte costituzionale italiana ha già sollecitato un intervento in questa direzione, sottolinea che adesso “devono essere adottate delle riforme nella legislazione nella pratica italiane”.

Alessandra Cusan, con la complicità del marito Luigi Fazzo, aveva cominciato la sua battaglia nel 1999, dopo la nascita della prima figlia. Oggi, dopo la decisione di Strasburgo, si dichiara entusiasta: “E’ un altro passo avanti verso il progresso e servirà soprattutto ai nostri figli”. Il papà è dello stesso avviso: “Sono doppiamente felice e soddisfatto soprattutto pensando ai miei figli: sia alle due ragazze alle quali un giorno spero non sia negato il diritto di trasmettere il loro cognome, sia per il maschietto che potrà decidere con la sua compagna”. Tutti e tre i figli della coppia oggi hanno anche il cognome della donna grazie ad una autorizzazione data per via amministrativa, “ma non è la stessa cosa poter scegliere”.

Il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri ha accolto piuttosto tiepidamente la notizia della condanna della corte europea: “So che il meccanismo già esiste presso le prefetture – ha precisato il guardasigilli – probabilmente bisognerebbe renderlo più pratico ed efficace, la possibilità già esiste”.

Ma il passo avanti verso le pari opportunità fra madre e padre non va soppesato solo dal punto di vista giuridico, perché le implicazioni di questa sentenza sono più profonde. Per l’avvocato Gian Ettore Gassani, presidente dell’Associazione degli avvocati matrimonialisti italiani (Ami), si tratta di una vera svolta per la parità di genere. “Attualmente – spiega – il codice civile del nostro paese vieta di poter attribuire il cognome materno ai figli, fatti salvi i casi previsti quali la maternità naturale senza il riconoscimento della prole da parte del padre. Le nostre leggi sono ancora fortemente di stampo patriarcale. Il cognome paterno è considerato sacro, sulla scia di un retaggio culturale e giuridico millenario, tanto che in determinati casi il cognome materno può essere solo aggiunto a quello paterno”.

In Italia ormai sono vent’anni che si parla di libertà nell’attribuzione del cognome della madre, ma questa volta potrebbe essere quella buona. “Con prima firmataria Laura Garavini, deputata del Pd, e sostenuta da decine di parlamentari di diversi partiti – spiega in una nota Equality Italia, associazione che da tempo ha lanciato una petizione online – è pronta alla Camera una legge che, tenendo conto delle indicazioni europee, riconosce la parità di scelta del cognome della madre. Speriamo che la sentenza della Corte di Strasburgo convinca il parlamento ad approvare un provvedimento che, a torto ritenuto un fatto marginale, è invece necessario per adempiere il dovere costituzionale di parità fra i generi e i ruoli genitoriali”. Stando alle dichiarazioni del mondo politico, questa volta dovrebbero esserci i numeri. Per Laura Garavini “è una grande vittoria per le madri”.

La pensa allo stesso modo, per dire, anche Jole Santelli di Forza Italia: “Mi auguro che il parlamento italiano decida di innovare una legislazione obsoleta, sono ormai decenni che il parlamento se ne occupa senza trovare una soluzione, e la cosa è ormai diventata una inutile sceneggiata”. Titti Di Salvo, vicepresidente di Sel alla Camera, parla di sentenza storica e si spinge più in là: “Questa sentenza ci spinge a una riflessione più generale chiamando il Parlamento a colmare il grande vuoto legislativo su diritti civili e libertà individuali, approvando le proposte presentate alle Camere su coppie di fatto, testamento biologico e omofobia. Solo così il nostro paese potrà colmare il ritardo ventennale sui diritti civili e le libertà individuali”.