Se il lungometraggio dell’anno nell’arcipelago è senza dubbio your name, animazione diretta da Makoto Shinkai di cui abbiamo già ampiamente parlato sulle pagine di questo giornale, film che lo scorso fine settimana è diventato il terzo film per incassi di sempre nel Sol Levante, la sorpresa e rivelazione del 2016, almeno per chi scrive, si intitola In this Corner of the World. Fra il 2007 ed il 2009 Fumiyo Kono crea un manga ambientato a Hiroshima durante gli ultimi dieci anni della Seconda Guerra mondiale e nel 2015 parte un crowdfunding per la realizzazione di un lungometraggio animato con regista Sunao Katabuchi, che gli appassionati del genere ricorderanno per Mai Mai Miracle, visto a Locarno nel 2009. Il progetto funziona e così il film, In this Corner of the World appunto, debutta nelle sale dell’arcipelagio lo scorso novembre. La storia come si diceva è ambientata a metà degli anni trenta del secolo scorso e vede come protagonista Suzu Urano, una giovane ragazza di cui seguiamo le vicende che partono da un’adolescenza quasi sognante, segnata dalla passione per il disegno e il fantastico, fino ad un matrimonio combinato che la porta a spostarsi da Hiroshima alla piccola e rurale cittadina portuale di Kure.

Il cambiamento che vediamo sullo schermo non è solo quello di Suzu ma anche del mondo che la circonda, sono gli anni della militarizzazione e della mobilitazione totale per l’arcipelago, l’aumento di navi da guerra e di militari nel mare e nella baia va di pari passo con l’impoverimento delle condizioni di vita del popolo, fino a giungere nell’ultima ora del film agli anni della costante paura sotto i bombardamenti americani. Il punto di vista della protagonista, un po’ svanita e con la testa fra le nuvole, ben rappresenta l’atteggiamento «innocente» di chi vive per e fra le piccole cose quotidiane. Questa visione della vita ha la qualità di «normalizzare» l’indicibile orrore della guerra, ma una normalizzazione intesa qui in senso quasi opposto. Perché nella quotidianità che si abbruttisce ed intristisce sempre più, fra i bombardamenti quotidiani fino al lampo finale della bomba su Hiroshima, in questa quotidianità semplice e dedita alle cose di ogni giorno, non appare mai una scena melensa e strappalacrime nel film, mai una congegnata ad hoc per far scaturire facili lacrime. La guerra e la morte diventano così ancora più terrificanti e sconvolgenti. E quando la morte e la tragedia arrivano, sono improvvisi squarci di luce che nella loro crudezza lasciano davvero senza fiato. Nella sala in cui ho assistito alla proiezione, gli ultimi trenta minuti sono tutti stati accompagnati da rumori di pianti e singhiozzi.

Qualche parola in più va spesa per la descrizione del matrimonio combinato in quanto esemplifica molto bene la complessità dei sentimenti che il film riesce a mettere sullo schermo. Suzu quasi spinta dagli eventi, la volontà della famiglia e le abitudini così richiedono, non si fa troppe domande e riesce, pur nell’orrore della guerra, a trovare il calore e la vicinanza del compagno scelto come marito, anche se il ragazzo di cui si era invaghita a scuola era un altro. Come accade in tutto il film, le emozioni ed i sentimenti della protagonista, espressi con un tratto semplice e se vogliamo grossolano del disegno, rimandano ad una complessità che non vuole essere spiegata ma che piano piano emerge nel corso del film. Il film di Katabuchi è davvero una piacevolissima sorpresa ed uno dei lungometraggi ambientati durante la guerra fra i più riusciti usciti di recente. Un lavoro di cui si parlerà ancora per molto.

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