Della cosiddetta ‘scuola romana’, Nicolò Fabi è forse l’esponente più riflessivo. Attento ai particolari, meticoloso, fino a raggiungere con Ecco – quattro anni fa, il suo settimo album – la piena maturità artistica, grazie a un progetto dove nulla era trascurato, dalle liriche importanti alle melodie studiate, mai ruffiane. E che si è guadagnato con merito, la targa Tenco.

Dopo l’esperienza in trio con Gazzè e Silvestri – disco e un tour da ripetuti sold out – ha però sentito quasi la necessità di rifiatare e di impegnarsi in un’opera creata completamene da solo. Una somma di piccole cose (Universal) – il disco che arriva oggi nei negozi in forma digitale e fisica, è stato infatti, scritto, suonato e registrato integralmente da lui nello studio casalingo di Campagnano. Frutto di una scelta stilistica precisa, austero anche nella decisione  di inserire solo nove brani.

“Direi – spiega – che è il disco che ho fatto più simile ai miei gusti musicali. Una decisione maturata proprio in conseguenza all’esposizione mediatica che ho avuto nel tour con Max e Daniele, molto aumentata nei miei confronti. Mi è sembrato giusto fare qualcosa che in altri momenti della carriera sarebbe stato un suicidio. Perché statisticamente sono i dischi che vendono meno e piacciono meno, ma personalmente – da ascoltatore – ripenso alla carriera di tanti artisti che hanno operato una scelta radicale. Sono le loro opere che preferisco”.

Brani nati attraverso un processo di sottrazione: arrangiamenti essenziali, strumentazione minimale, dritti verso la loro più pura essenza. E dove il lavoro sui testi è ancora più attento e felice del solito.

Avevo necessità di raccontarmi nella più assoluta autenticità. E lo dovevo fare attraverso qualcosa che fuggisse completamente l’aspetto produttivo di un disco. Creo pezzi che diventano provini, poi quando vado in studio temo che vadano lontano da quell’idea originale. Mi è capitato spesso – dopo aver ultimato i miei lavori – di riascoltare il provino originale e accorgermi che quella magia era andata perduta.

Il pezzo che intitola l’album è un’esortazione a (ri)mettersi in gioco e a cambiare la propria esistenza.

Tanti dicono di aver voglia di buttare tutto e ricominciare da capo. Poi non lo si fa, per ragione economiche, ma qualche volta è un alibi. Io vivo a Campagnano, nei dintorni di Roma e come me c’è tutto un mondo di persone che hanno lasciato la città e sono andati a lavorare lì, creando una nuova socialità.

Un altro stile di vita è dentro altri due pezzi: Filosofia agricola e soprattutto Ha perso la città, che sembra un ritratto di Roma…

Inevitabile, anche se non volevo circoscrivere tutto alla città. Roma ha un valore simbolico perché è la capitale e si prende su di sé pregi e difetti di tutte le città, e le amplifica perché è più grande, più stratificata, ha i ministeri il vaticano tutto quello che all’interno di una città può creare confusione. Quel brano è una fotografia di una giornata tipo di un metropolitano, dove il pericolo più grande è l’assenza di empatia e conoscenza reciproca che la città ti stimola, rivalità e aggressività piuttosto che alleanza.

Non vale più è quasi una riflessione sulla possibilità di una vera rivoluzione a livello sociale. Disillusione o presa di coscienza?

Io la leggerei in una maniera diversa, è vero che stai parlando di una disillusione ma il fatto che la stai raccontando può presupporre che ci possa essere una piccola sveglia.

Vita, disagio sociale ma anche morte attraversano come un filo invisibile il disco, e le canzoni  agiscono quasi come una dolce panacea, un farmaco gentile. Facciamo finta è l’elaborazione del lutto personale, un bimbo che non c’è più, mentre Le cose non si mettono bene – è l’unico brano non scritto da Fabi ma da un gruppo di Civitavecchia, Hellosocrates, il cui cantante Alessandro Dimito è morto due anni fa: “Li ho conosciuti a Musicultura e li ho seguiti fino a quando ho saputo della morte di Alessandro. Spesso la morte di un artista ha un valore non solo umano ma anche simbolico. In qualche modo è stato un passaggio di consegne da parte di un uomo che l’ha scritta e non ha potuto farla ascoltare a qualcuno che magari al posto suo cerca di farla sentire a più persone. Un omaggio alla bravura di Alessandro”.