In doppia versione italiana e inglese, uscirà il prossimo 22 ottobre Ho Sognato Pecore Elettriche/ I Dreamed of Electric Sheep, il nuovo album di inediti della Premiata Forneria Marconi. Special guest di tutto rispetto Ian Anderson, storico leader dei Jethro Tull, e Steve Hackett, leggendaria chitarra dei Genesis negli anni 70. A partire dal titolo, che omaggia il romanzo di Philip K. Dick dal quale è stato tratto il cult Blade Runner, il gruppo milanese composto da Franz Di Cioccio e Patrick Djivas – con Lucio Fabbri, Alessandro Scaglione, Marco Sfogli e Alberto Bravin – cesella l’ennesimo capitolo di una carriera inesauribile. Capace di fondere in uno stile unico rock, progressive e musica classica. Band in continua evoluzione stilistica, pur conservando un’identità molto precisa, la PFM torna alle confortevoli sponde del buon vecchio concept album. Riflettendo, lungo otto tracce, su quanto il mondo attorno a noi cambi alla velocità della luce e su come i computer stiano invadendo ogni aspetto delle nostre vite. Proprio in pure stile Philip K. Dick, ponendo l’accento su cosa è reale e cosa no e il confronto fra esseri umani e alieni/androidi.

APERTO dalla cavalcata strumentale Mondi paralleli – dove un tipico groove PFM di basso/batteria si sposa alla musica classica di Prokofiev –, Ho Sognato Pecore Elettriche, racconta Franz Di Ciccio, «nasce perché io e Patrick siamo due patiti della fantascienza e un segno indelebile lo ha lasciato Blade Runner. Oggi vediamo quello che allora era soltanto immaginato e abbiamo sentito la necessità di lanciare un campanello d’allarme. Stiamo perdendo il potere del sogno, quello di immaginare e abbiamo voluto intraprendere un piccolo viaggio intorno a ciò che sta accadendo». Il leggendario batterista/cantante poi aggiunge «Il protagonista della nostra storia, un uomo normale, teme di non riuscire più a sognare liberamente, perché la realtà stride con la fantasia.

NEL MONDO della «grande corsa» i sogni liberatori sono diventati rari, invasi da pecore elettriche. I cyber animali sono creati dal nostro subconscio che ha radici più profonde e pesca in un mondo dove le macchine sono diventate più importanti dell’uomo, il quale si appresta a passare in secondo piano». A proposito di umani, «Ian Anderson e Steve Hackett sono amici, anzi, oserei dire spiriti affini» racconta invece il bassista Patrick Djivas «Volevamo proprio loro per un brano come Il respiro del tempo. Una sorta di marcia per il nostro pianeta che contiene musiche tutte diverse fra loro come la cornamusa, il jazz-rock e la musica classica».