Nel momento più difficile, l’incontro di 600 leader indigeni: «Lotteremo»
Brasile Era un desiderio che l’89enne leader indigeno Raoni Metuktire, tra i più rispettati al mondo, coltivava da anni: riunire i capi dei popoli indigeni dispersi nello sconfinato territorio brasiliano perché […]
Brasile Era un desiderio che l’89enne leader indigeno Raoni Metuktire, tra i più rispettati al mondo, coltivava da anni: riunire i capi dei popoli indigeni dispersi nello sconfinato territorio brasiliano perché […]
Era un desiderio che l’89enne leader indigeno Raoni Metuktire, tra i più rispettati al mondo, coltivava da anni: riunire i capi dei popoli indigeni dispersi nello sconfinato territorio brasiliano perché potessero, tutti insieme, assumere un impegno collettivo in difesa dei propri diritti. Un desiderio che si è finalmente concretizzato, in uno dei momenti più difficili della storia dei popoli originari del Brasile, con l’inedito incontro convocato da Raoni dal 14 al 17 gennaio nel villaggio Piaraçu, nell’area indigena Capoto Jarina, in Mato Grosso.
A rispondere all’appello sono stati circa 600 leader – ne erano attesi non più di 450 – di 47 popoli indigeni, dal Rio Grande do Sul al Pará, i quali, dopo aver viaggiato anche 5 giorni, hanno diffuso un manifesto di denuncia nei confronti del progetto politico «genocida, etnocida ed ecocida» del governo Bolsonaro, riproponendo un’Alleanza dei popoli della foresta sul modello di quella lanciata quasi 40 anni fa dal leader dei seringueiros Chico Mendes, proprio alla presenza della figlia di quest’ultimo, Ângela Mendes.
«Le minacce e le parole di odio dell’attuale governo stanno alimentando la violenza contro i popoli indigeni, gli assassinii dei nostri leader e l’invasione delle nostre terre», afferma il «Manifesto do Piaraçu», non senza un’esplicita risposta all’attacco lanciato da Bolsonaro proprio a Raoni durante l’Assemblea generale delle Nazioni unite dello scorso settembre.
«La visione di un leader indigeno – aveva allora dichiarato il presidente – non rappresenta tutti gli indios brasiliani. Spesso alcuni di questi leader, come il cacique Raoni, sono strumentalizzati da governi stranieri impegnati a difendere i propri interessi in Amazzonia». Una dichiarazione che aveva fatto scalpore e che gli indigeni non hanno dimenticato: «Non ammettiamo che ai nostri capi si manchi di rispetto. Cacique Raoni è, sì, il nostro leader. Egli ci rappresenta».
E unanime è risultata anche la difesa dei territori contro lo sviluppo predatorio perseguito dal governo: «Non accetteremo il garimpo, lo sfruttamento minerario, l’agribusiness, l’affitto delle terre indigene, non accetteremo le industrie del legname, la pesca illegale, le centrali idroelettriche o qualunque altra attività destinata a colpirci in maniera diretta e irreversibile». Una denuncia accompagnata dalla speranza che il 2020 sia «un anno di grandi lotte e mobilitazioni», in Brasile e «nelle strade di tutto il mondo». Lotte e mobilitazioni a cui Raoni darà ancora sicuramente il suo contributo: «Andrò avanti – ha detto – finché il mio corpo resisterà. Se l’uomo bianco insisterà ad abbattere la foresta, a costruire dighe e a distruggere tutto, io resterò qui a lottare».
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