Le acque del golfo dividono da sempre le due anime di Calvi in «quella di sotto» e «quella di sopra». L’anima di «quella di sopra» è tutta racchiusa dentro i bastioni della cittadella. Quando si avvista Calvi, che si arrivi via mare o via terra non importa, è subito lei a svettare: la cittadella ligure che sovrasta il porticciolo. Il mar ligure cinge un golfo di sei chilometri che annuncia l’entroterra corso.

E la cittadella ricorda anche ai turisti più distratti, i cinque secoli di dominazione genovese che hanno regalato ai corsi di queste parti qualche disastro (sono regali tipici dei dominatori…) e molte opere, retaggi e tradizioni. Tra queste anche un dialetto di chiara matrice ligure che oramai è difficile sentir parlare se non in alcuni pertugi rurali dei dintorni. Eppure le voci da queste parti hanno molti modi per farsi sentire. Uno dei più efficaci può essere lo spazio detonante di un festival a loro dedicato.

Sono 26 le edizioni a cui giungono nel 2014 gli appuntamenti della kermesse di Rencontres de Chants Polyphoniques di Calvi. La voce, le voci, sempre al centro, quest’anno anche con un riferimento esplicito nel sottotitolo tematico: «À l’iniziu c’era a voce». In cartellone musica tradizionale corsa innanzitutto, ma anche un exscursus puntuale nelle tradizioni musicali della world music.

Il gruppo degli A Filetta nella persona del suo leader Antonio Acquaviva insieme all’associazione U Svegliu Calvese cura da sempre la direzione artistica. A Filetta affonda le radici nel cuore della sua isola, proprio come la felce da cui trae il nome. Sei cantori con un repertorio che rispecchia esattamente il percorso del gruppo, mescolando tradizione e rinnovamento, canti antichi cui fanno eco brani originali nati in quasi quarant’anni di attività.

In una terra devastata dall’emigrazione, dal trapianto socio-linguistico francese e, in un recente passato, da un terrorismo nazionalista impastato di antichi codici d’onore, Acquaviva col suo ensemble riprende l’antica arte della polifonia (piuttosto affine a quella dei vicini sardi), scegliendo il «Corso» contemporaneo come mezzo espressivo e di esibita autonomia. Quest’anno a certificare l’inclinazione del festival ci sono stati gli attesi (e riuscitissimi) incontri tra A Filetta e due grandi musicisti italiani: il bandoneonista Daniele Di Bonaventura e il trombettista Paolo Fresu, coi quali il combo corso aveva già condiviso le baluginanti peripezie discografiche di un’incisione Ecm dal titolo esemplare: Mistico Mediterraneo.

Una joint venture tra due culture limitrofe, perpetuata in cartellone anche dal passaggio delle voci sarde di Actores Alidos e del Su Concordu Sas Enas di Bortigali.

Un’altra bella voce italiana, salentina in particolare, ha deciso di sbarcare a Calvi insieme alla sua Fanfara: Enza Pagliara si è infatti portata dietro un quintetto che esibiva anche basso tuba, tromba e grancassa e affondava il proprio impeto espressivo in un repertorio fatto non solo di pizziche, ma anche di stornelli, marce e ballate. Lo spagnolo Ferran Savall, il duo senegalese formato da Malick Pathé Sow e Bao Sissoko, il gruppo corso de L’alba, l’ensemble polifonico francese Diabolus in Musica e un coro di voci georgiane sono gli altri «alberi di canto» che hanno arricchito il carnet dell’edizione 2014.

Ma quello che i francesi chiamano «coup de coeur» è coinciso in questa edizione con il passaggio dell’ensemble del poeta, compositore e cantante franco-siriano Abed Azrié. Canti d’amore e d’ebrezza era il titolo del suo set, approntato magnificamente da un combo strumentale formato da oud, fisarmonica, violoncello e percussioni. La voce profonda di Azrié ha cesellato versi tratti da una sorta di misticismo multietnico, sapiente e tollerante: canti sufi, cristiani, sumero-babilonesi, arabo-andalusi…un florilegio di sonorità luminose e commoventi, a perpetuare un senso del sacro davvero ecumenico. Un grido sussurrato direttamente dal cuore pulsante del bastione che domina la cittadina corsa.

Per chi arriva oggi a Calvi, la cittadella è un’impressionante fortezza, un bastione ultraprotetto, che nei primi secoli del primo millennio doveva servire da monito e da spauracchio in pietra per i malintenzionati (turchi e francesi soprattutto). Ora invece il gioco è scoperto, Calvi ha sfogato la sua urbanità anche molto fuori dalla cittadella e i cinquemila residenti della «Calvi di sotto»(che triplicano d’estate) si avvicinano alle sue mura e all’intrico complicato delle sue mille viuzze interne con la circospezione e il rispetto che merita uno scrigno di opere d’arte e un piccolo miracolo della progettazione urbanistica.

Sono proprio gli spazi più preziosi della Cittadella di Calvi – La chiesa di San Giovanni Battista, l’Oratorio di Sant’Antonio, la Piazza d’Armi e quella del Tribunale – la meta degli astanti del festival. Calvi, col suo centro storico e la sua spiaggia infinita è in realtà il gioiello della Balagna, la zona più a Nord Est della Corsica.
E quel «semper fidelis» nei giorni del festival sembra più una dichiarazione d’integrità nei confronti delle tradizioni vocali che non un motto di appartenenza politica di matrice marinara.