Sei anni, e tre romanzi dopo aver accettato la sfida apparentemente impossibile di riprendere la trilogia di Millennium, resa orfana dalla prematura scomparsa di Stieg Larsson, morto nel novembre del 2004 a soli 50 anni, per David Lagercrantz è venuto inevitabilmente il tempo dei bilanci. Con l’uscita, come i precedenti, per Marsilio, già editore italiano di Larsson, di La ragazza che doveva morire (pp. 409, euro 19,90), terzo e conclusivo capitolo del suo lavoro di rielaborazione della celebre saga noir scandinava – dopo Quello che non uccide e L’uomo che inseguiva la sua ombra -, il 57enne scrittore svedese può tirare le fila di questa imponente operazione narrativa; dei sei romanzi di Millenium si sono vendute complessivamente decine di milioni di copie in tutto il mondo.

«Quando, nel 2006, mi hanno proposto di riprendere il lavoro che aveva iniziato Stieg Larsson – spiega Lagercrantz in viaggio alla volta del nostro paese nell’ambito di un tour internazionale di presentazione dell’ultimo volume della sua trilogia -, mi sono dato una sorta di missione: restare il più possibile fedele all’universo che aveva creato lui ma, al tempo stesso, far sentire la mia presenza indicando una possibile evoluzione per i protagonisti e per il contesto nel quale si muovono».

Lo scrittore svedese David Lagercrantz

IN QUESTO SENSO, la novità più importante riguarda la figura di Lisbeth Salander, la giovane che inizialmente affianca il giornalista Mikael Blomkvist nelle sue inchieste, che lungo i tre romanzi scritti da Lagerkrantz sembra acquisire maggiore complessità, rivelando sfaccettature inedite della propria personalità, tutte le sue capacità come anche alcune ombre. «Da un lato – sottolinea Lagerkrantz – volevo indagare quella specie di “mitologia” che circonda Lisbeth, i tanti misteri che l’hanno resa così popolare presso i lettori, le sue stranezze, iscritte anche nel suo stesso aspetto, come il drago che ha tatuato sulla schiena. Dall’altro ho voluto esplicitamente che il suo rapporto con Mikael Blomkvist conoscesse uno sviluppo inedito rispetto a ciò che era stato nei tre libri scritti da Larsson: quasi lei si emancipasse da quella presenza, certo protettiva, ma anche in qualche modo limitante. Nelle mie storie Mikael si rende conto, proprio come è accaduto anche a me, di non sentirsi sempre adeguato quando si misura con Lisbeth, riconosce in lei capacità e intuito che a lui sembrano mancare. Arriverei a dire che a tratti nei confronti della giovane hacker prova quasi un senso di inferiorità: lei lo mette di fronte ai propri limiti. Una consapevolezza non sempre facile da accettare, specie per un uomo».

Ma non è solo Lisbeth ad essere cambiata. In particolare lo scenario che fa da sfondo a La ragazza che doveva morire evoca alcune delle minacce apparse sulla scena globale negli ultimi anni: fenomeni tra loro spesso intrecciati come l’emergere delle nuove destre sovraniste e la diffusione delle fake news. Così, se Stieg Larsson era arrivato alla letteratura dal suo lavoro di giornalista antifascista per la rivista Expo, Lagerkrantz riflette sulle sfide che pesano oggi su libertà e democrazia. Le sue parole non potrebbero essere più chiare: «Se per Lisbeth prima di tutto viene sempre la difesa delle donne, soprattutto quelle che vivono condizioni di oppressione che le ricordano gli abusi subiti da sua madre, in quest’ultimo libro si misura con una delle grandi minacce del nostro tempo: le “bugie organizzate” e le notizie false che rappresentano un pericolo mortale per la democrazia. Queste fake hanno aiutato leader narcisisti e autoritari come Donald Trump e Viktor Orbán a conquistare il potere e stanno contribuendo al successo dell’estrema destra e alla diffusione delle teorie cospirative e dell’odio nei confronti delle minoranze in tutto il mondo».

ALLO STESSO MODO, se oltre vent’anni fa l’emergere della nuova narrativa poliziesca del Nord Europa si nutriva della crisi del «modello scandinavo», inteso come una società equa e tollerante nella quale iniziavano a diffondersi esclusione, razzismo e la violenza neonazista, anche per il successore di Stieg Larsson si tratta di misurarsi prima di tutto con la complessa realtà della Svezia di oggi.

«Nel corso di questo tour – precisa lo scrittore – mi sono sentito chiedere se davvero il mio paese è sull’orlo di una guerra civile, e questo in seguito alla minaccia terroristica o alle rivolte scoppiate nei quartieri dell’immigrazione, vicende di cui si è occupata la stampa internazionale negli anni scorsi». Certo, aggiunge Lagerkrantz, «abbiamo i nostri problemi e prima di tutto il fatto che le differenze di classe stato crescendo in modo un tempo inimmaginabile e che certe parti della Svezia fanno pensare ad una società segregata. L’estrema destra è in forte crescita e, come dicevo, ricorre alla diffusione di notizie false per dividere i cittadini e favorire i contrasti nel paese. Viviamo in tempi preoccupanti e temo che a lungo andare la democrazia possa essere minacciata anche da noi. Ciò che mi allarma maggiormente è il modo in cui si incita all’odio nei confronti delle minoranze e dei migranti, fenomeno che cresce ogni giorno di più e che sta influenzando anche i media: conosco un bel po’ di giornalisti che si auto-censurano quando scrivono perché vengono minacciati o sono a loro volta destinatari di messaggi di odio, ormai espressi in modo pubblico dai razzisti».

Infine, in un bilancio di questa nuova trilogia di Millenium non può mancare un riferimento all’apparente spostamento del clima narrativo dai canoni del noir, propri a Larsson, verso la spy-story, genere già praticato da Lagercrantz con il suo romanzo dedicato alla morte di Alan Turing, La caduta di un uomo (Marsilio, 2009). «In effetti credo che in questo pesi il retaggio della mia infanzia, quando a casa “i gialli” erano stati banditi da mio padre. Invece le storie di spie, con la scusa che ci parlavano della “grande Storia” avevano libero corso. E devo confessare di aver capito la Guerra fredda su quei libri più che sui dizionari storici. Perciò da Turing a Lisbeth Salander sono sicuro che in quello che scrivo ci sia ancora traccia di questa mia grande passione di bambino».