Ciò che contraddistingue una ricerca storica veramente originale è la sua capacità di indagare il passato alla luce di domande e questioni nuove che sgorgano dal presente. Lo storico, infatti, non si occupa del passato per un puro interesse antiquario, ma nella misura in cui gli eventi trascorsi consentono di comprendere meglio il mondo a lui circostante. Il legame tra gli eventi trascorsi e l’attualità è particolarmente evidente nell’accurata ricerca che Bruno Pomara Saverino ha condotto sulla vicenda dell’arrivo in Italia dei moriscos spagnoli, divenuti profughi dopo la loro violenta cacciata dai territori della penisola iberica, tra il 1609 e il 1614 (Rifugiati. I moriscos e l’Italia, Firenze University Press, pp. 348, euro 17,90).

MORISCOS, nella Spagna cattolica, erano detti i discendenti degli arabo-musulmani presenti nella penisola sin dal VII secolo, costretti alla conversione al cristianesimo dopo la fine della Reconquista avvenuta nel 1492 con la caduta del Regno di Granada. Sarebbero rimasti in Spagna per poco più di un secolo, sempre screditati e malvisti in quanto incapaci di una piena assimilazione dei modelli imposti dall’autorità religiosa e politica. Dopo essere stati vittime della repressione inquisitoriale per non avere veramente interiorizzato la dottrina cristiana, furono espulsi dai territori della monarchia spagnola per decisione di Filippo III, in un momento di particolare debolezza politica e militare della corona. La cacciata dei moriscos, durata cinque anni, si tradusse in un gigantesco movimento di persone – circa 300.000 – che lasciarono la penisola iberica nei modi più diversi, anche con la deportazione, fino a giungere in altri centri abitati del Mediterraneo dove trovarono un’accoglienza, non sempre sicura e definitiva. Una crisi di profughi o di rifugiati, la definiremmo oggi, che interessò a pieno titolo anche gli stati italiani preunitari, incluso lo stato pontificio.

POMARA SAVERINO indaga l’arrivo dei moriscos in Italia andando a caccia delle tracce documentarie in grado di attestare l’identità dei rifugiati e le reazioni della società e delle autorità di fronte all’arrivo di questi profughi, consapevole di quanto quella lontana vicenda possa offrire un interessante termine di confronto con i problemi migratori e di assimilazione culturale dei nostri tempi. Mostrando notevoli capacità come esploratore d’archivio, l’autore prende le mosse dagli indizi contenuti nelle carte del Sant’Uffizio romano per tracciare una prima cartografia della diaspora morisca nella penisola italiana. Esamina quindi la corrispondenza diplomatica e i documenti governativi conservati negli archivi dei principali capoluoghi italiani, senza tralasciare fondamentali documenti ecclesiastici come quelli parrocchiali.

NE VIENE FUORI un quadro estremamente composito, sia per ciò che attiene alle decisioni delle autorità politiche locali sia per quel che riguarda le condizioni personali dei moriscos e i loro percorsi migratori. Se in alcuni casi essi vennero accolti e integrati nel tessuto sociale e produttivo, in altri furono respinti e persino schiavizzati. Molti moriscos videro l’Italia solo come una terra di passaggio verso altre destinazioni, altri riuscirono a integrarsi fino al punto da perdere la loro identità di partenza, ammesso che fosse definibile in modo univoco.
I rifugiati si insediarono più facilmente nelle città con una tradizione di accoglienza di altre minoranze perseguitate: tra queste Livorno, Mantova, Venezia, la stessa Roma pontificia o le grandi metropoli meridionali, Napoli e Palermo, nonostante fossero parte dei domini spagnoli.
Questi casi di integrazione, ci ricorda opportunamente l’autore, furono possibili in quanto non esisteva, in fondo, una stabile e definita «identità morisca», se non laddove il processo di stigmatizzazione e discriminazione non avesse prodotto l’isolamento di quei profughi di origine iberica.

LA CRITICA del paradigma identitario risulta dunque essere uno degli spunti di maggiore interesse del lavoro storiografico di Pomara Saverino, anche in relazione all’oggi. La vicenda dei moriscos in Italia conferma infatti ciò che dovrebbe ormai essere scontato non solo nel discorso storiografico ma anche nel dibattito politico: l’identità delle nazioni, come pure quella delle minoranze integrate o discriminate, è sempre un’entità in divenire, oggetto di costruzione e rielaborazione continua.
Come avrebbe detto Hegel, il principio di identità irrigidisce la realtà in maniera astratta, impedendo di coglierne la processualità e la trama di relazioni che la caratterizzano. Un’indicazione del pensiero dialettico che oggi sarebbe opportuno non dimenticare, in un’epoca di reviviscenza dei nazionalismi e di innalzamento dei muri conto i «diversi».