La guerra è finita. Semmai c’è stata. Perchè Elena, la donna più bella del mondo, nel cui nome per un decennio s’è combattuta, è una finzione. Un fantasma. La vera Elena, regina e sposa fedele, altro che adultera e traditrice, vive in Egitto, «rifugiata» alla corte di Proteo. Morto il quale, il figlio Teoclimeno la vorrebbe far sua. Ma non ha fatto conti con l’oste. Che altri non è che Menelao, lo sposo legittimo, creduto morto e riaffiorato sulle rive del Nilo. Gli dei fanno e disfanno. All’ennesimo vagabondaggio, riprendersi ciò che gli spetta è il minimo. Così sarà. Un gioco da ragazzi. Una beffa da goliardi, approvata dall’Olimpo, e via a vele spiegate verso casa. Dove, c’è da credere, vissero felici e contenti. Euripide disegna la sua Elena con piglio eclettico. Arguto. Un avventurismo spregiudicato e truffaldino. Ora il mare nostrum della tragedia è mosso ma non tempestoso.

CERTO QUALCHE fosco bagliore acceca ancora l’orizzonte e il ripasso di quanto accade ai giorni nostri sorge spontaneo. Necessario attracco di porti chiusi e accoglienze negate. Poco rappresentata, l’Elena euripidea firmata da Davide Livermore, è andata in scena a Genova. Uno specchio d’acqua fa da palcoscenico. Una laguna misteriosa (l’Egitto un obelisco rovesciato come un u-boat che emerge dalle onde), fra riverberi e citazioni, echi goldoniani e capricci mozartiani, sbandate cinematografiche, affluenze coreografiche (il coro come i cigni di Matthew Bourne ma di nero agghindati), innesti musicali (elaborazioni di Andrea Chenna), slittamenti che dal melodramma finiscono in un vaudeville degli equivoci. Lucida e seducente, Laura Marinoni conduce in porto, festosamente accolta dal pubblico, questo vascello fantasma. L’illusione continua.