La nave di ricerca turca Oruc Reis ha lasciato il porto di Mersin per raggiungere le acque mediterranee contese con la Grecia. Il Navtex lanciato dalla Turchia lunedì sera ha annunciato l’invio della Oruc Reis nelle acque a sud dell’isola greca di Kastellorizo.

La nave è posizionata in acque internazionali circa 64 km a sud dell’isola. Una zona dove è assai improbabile che possano essere fatte rilevanti scoperte energetiche: il posizionamento equivale a una mossa politica in questa rischiosa partita a scacchi tra i due paesi Nato.

Superato quasi indenne il summit europeo dello scorso primo ottobre, il presidente turco Recep Tayyip Erdodgan annuncia così di essere pronto a un nuovo braccio ferro nel Mediterraneo orientale. Più che avvisi ai naviganti, questi Navtex sembrano proiettili sparati contro l’avversario nella guerra delle trivelle.

A metà settembre scorso la Grecia annunciava l’avvio di esercitazioni militari sull’isola di Chios, la Turchia rispondeva con un altro in cui denunciava la violazione del trattato di Losanna e della smilitarizzazione delle isole greche vicine.

La Oruc Reis era stata ritirata dall’area contesa il mese scorso in vista del summit europeo del primo ottobre, gesto interpretato come un segnale distensivo inteso a facilitare il lavoro diplomatico. Il vertice si è però concluso con l’Europa che ha minacciato sanzioni contro la Turchia se questa avesse continuato a operare nell’area. Sanzioni che tuttavia non sono scattate subito: alla Turchia sono stati concessi tre mesi per interrompere le missioni esplorative.

La mossa di Erdogan di schierare nuovamente la nave esploratrice si traduce in un atto di sfida verso l’Europa, che deve ora decidere se concretizzare queste sanzioni, in assenza delle quali il suo ruolo negoziale sarebbe enormemente indebolito, oppure dimostrare di fare sul serio.

L’invio della Oruc Reis rappresenta quindi un’altra mossa nella strategia turca, fatta di violazioni di quello status quo legale derivato della convenzione Unclos, mai sottoscritta e considerata irricevibile. Ankara vuole costringere la Grecia a un tavolo negoziale sgombro dei precedenti trattati e offrirlo alla comunità internazionale come unica soluzione praticabile per superare la crisi.

Ma la Grecia è ormai decisa a non tollerare i fait accompli con cui Ankara si muove e pone come condizione per i negoziati l’allontanamento di ogni nave turca dalle acque contese. «Finché la Oruc Reis si troverà nell’area non avvieremo alcun colloquio esplorativo con la Turchia», ha dichiarato il portavoce del governo greco Stelios Petsas. In questo modo, Atene gioca la sua partita puntando su uno status quo che la vede in posizione ampiamente favorevole, mentre forza la mano turca a strappi e mosse non convenzionali.

Nei pressi dell’acropoli si valutano anche opzioni ancor meno diplomatiche. L’ex primo ministro Tsipras ha spinto, nel corso di un congresso di partito, a considerare l’estensione dei confini delle acque territoriali dalle attuali sei fino a 12 miglia nautiche, sempre in ossequio alla convenzione Unclos. Un raddoppio che nei fatti stringerebbe ancor di più il cappio marino attorno al collo di Ankara.

Si delinea così una guerra di nervi e Navtex destinata a durare ancora a lungo, ma a sparigliare le carte potrebbero essere gli Stati uniti, che finora avevano lasciato intendere ad Ankara di poter offrire sponda. Ma dopo un primo avvertimento lanciato con la rimozione di parte delle limitazioni all’export di armi verso Cipro, ora Washington torna a bacchettare l’alleato turco.

La portavoce del Dipartimento di Stato Morgan Ortagus ha condannato l’annuncio turco della ripresa delle attività esplorative con parole assai dure: «Minacce e attività militari non rappresentano una soluzione. Chiediamo alla Turchia di interrompere ogni provocazione calcolata». Una netta presa di posizione che potrebbe far perdere ad Ankara l’unico potenziale alleato di peso nella contesa.