«Ana moush kafer, non sono un empio, è la fame ad essere un’empietà». Cita Ziad Rahbani – famoso compositore e cantante libanese – l’uomo di 61 anni che venerdì si è tolto platealmente la vita in pieno giorno in una delle strade principali di Beirut, Hamra, con un colpo di pistola alla testa.

Accanto al corpo, oltre la frase scritta a mano, un certificato di condotta penale pulita e una bandiera libanese. Alcuni testimoni dicono che l’uomo abbia gridato «Per un Libano libero e indipendente» prima di compiere l’estremo gesto.

DOZZINE DI PERSONE sono accorse sul posto e hanno manifestato contro il governo. Una donna portava un cartello con scritto «Questo non è un suicidio, è un assassinio a sangue freddo». Altri intervistati lamentavano la propria disperazione e quella del paese intero, costretto letteralmente alla fame.

Non è stato purtroppo l’unico caso della giornata. Un uomo di 37 anni, autista di bus e ora disoccupato, si è impiccato a Iqlim al-Kharroub, a sud di Saida.

I suicidi sono aumentati in Libano, tanto che Embrace, una ong che si occupa di salute mentale, ha da alcuni mesi messo a disposizione un servizio telefonico di prevenzione. Human Rights, Banca Centrale e lo stesso premier Diab, avevano già annunciato che la crisi economica avrebbe portato a una forte crisi alimentare, che le stime dicono riguarderà almeno metà della popolazione entro fine anno.

La crisi che sta devastando il paese da ottobre ha portato alla svalutazione della lira libanese nei confronti del dollaro. Se ufficialmente il cambio è ancora di 1507.5 lire per 1 dollaro, nei giorni scorsi ha raggiunto vette di 10 mila lire al mercato nero, unico posto dove è possibile trovarne. Diab ha accusato pubblicamente il governatore della Banca Centrale Salameh di essere responsabile del collasso della lira.

Le politiche neo-liberiste degli ultimi 30 anni hanno privilegiato il settore terziario ed edile, costringendo uno dei paesi più fertili del Medio Oriente ad importare la quasi totalità dei beni primari e secondari. Con una tale svalutazione della lira, l’impennata dei prezzi di qualsiasi prodotto è stata inevitabile.

È DI POCHI GIORNI LA NOTIZIA della firma del ministro dell’Economia Nehme sull’accordo per il raddoppio del prezzo del pane. Qualche giorno prima, quando il sindacato dei panificatori aveva annunciato la sospensione della distribuzione del pane ad alimentari e supermercati, Nahme aveva rassicurato i libanesi che non ci sarebbe stata nessuna «crisi del pane» e che il Libano aveva scorte di farina sufficienti.

La carne è diventata un bene di lusso, tanto che è scomparsa anche dal rancio dell’esercito. Nelle regioni più povere come Tripoli e Akkar, la gente scambia mobili e oggetti vari con beni di primissima necessità. Il prezzo dell’acqua, che molte famiglie sono costrette a comprare in molte zone del paese perché quella corrente è contaminata o insufficiente per il fabbisogno quotidiano, è raddoppiato. L’elettricità pubblica che già da tempo, a seconda delle zone, opera tagli da 3 a 12 ore al giorno costringendo i libanesi a rivolgersi a compagnie private che usano generatori diesel e hanno prezzi altissimi, ha diminuito il servizio e aumentato la richiesta di elettricità privata e i relativi costi.

LE PROTESTE CONTINUANO in tutto il Libano. La situazione politica interna è particolarmente tesa e la retorica richiama quella della guerra civile (1975-90). Gli Stati uniti con il Caesar Act che colpisce la Siria e i suoi partner commerciali cercano di mettere sempre più all’angolo Hezbollah, parte della coalizione di governo. Mostrando come la crisi libanese non sia solo un affare interno.

E intanto la gente muore.

«Non sono un empio, è il Paese ad esserlo. Sono bloccato a casa mia, non posso uscire. Mi state togliendo il pane di bocca, quando il vostro ce lo avete davanti».